la Repubblica, 27 gennaio 2021
Chi è Alaa Salah, l’eroina della rivoluzione sudanese
KHARTOUM – La sabbia del deserto è ovunque in città, la respiri quando s’alza il vento, ricopre le auto in sosta e s’accumula lungo le strade perché con la profonda crisi economica che strozza il Sudan, dove l’inflazione negli ultimi due anni è cresciuta dell’800% e dove si resta in coda ore per comprare il pane, non ci sono più gli spazzini per rimuoverla. «Però non c’è più neanche la polizia che poteva arrestarti se andavi in giro la sera non accompagnata o frustarti se indossavi i pantaloni», dice la ventiseienne Alaa Salah, eroina e figura iconica della rivoluzione sudanese che nella primavera del 2019 ha deposto il feroce dittatore Omar Al Bashir, al potere dal 1989. Da allora, il Paese è guidato dagli undici membri del Consiglio supremo, compagine per metà civile e per metà militare, incaricata di transitare il Sudan verso le elezioni entro tre anni. Oltre all’abolizione della Public order law, orribilmente discriminatoria nei confronti delle donne, è stata anche alleggerita la legge islamica, che non prevede più la pena di morte per i reati di apostasia e di omosessualità. Nell’ultimo anno e mezzo, sono anche diminuite le mutilazioni genitali perché se prima erano un reato non sanzionabile, adesso sono invece perseguibili. «Ma serve più giustizia. Basti dire che non c’è un solo indagato per le centinaia di martiri trucidati il 3 giugno 2019 dall’esercito, da agenti dell’intelligence e dalle ex milizie janjaweed, note per i massacri durante la guerra del Darfur», dice ancora Salah che incontriamo in un grande albergo della capitale. E che stentiamo a riconoscere, ricordandola nei video diventati virali che la mostravano elegantemente fasciata in un abito bianco, con grandi orecchini dorati e un’ombra di trucco, mentre intonava canti patriottici sul tetto di un’auto per infondere coraggio ai ragazzi della rivolta. Da allora, l’attivista è stata invitata a parlare al Consiglio di Sicurezza dall’Onu e a partecipare a forum e conferenze nei Paesi di mezzo mondo, pur continuando i suoi studi di Architettura e le sue battaglie in favore delle donne.
Anche secondo il sottosegretario all’Informazione, Rachid Yacoub, rientrato a Khartoum dopo 29 anni trascorsi in esilio a Parigi, una delle sfide più importanti di questa transizione è la riforma del sistema giudiziario, in vista di un possibile trasferimento al Tribunale penale dell’Aia di Al Bashir, ancora dietro le sbarre. Infatti, primo capo di Stato incriminato dalla Corte, contro di lui è stato emesso il 4 marzo 2009 un mandato d’arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. «I militari ancora si oppongono a spedirlo in Olanda, perché Al Bashir era uno di loro. Ma in Sudan, i tribunali non avrebbero né il potere né le leggi né tantomeno l’esperienza per giudicarlo». Per il sottosegretario, l’altra priorità consiste nel distribuire più equamente i dividendi della pace. E cioè mostrare al popolo che vivere in libertà ha dei vantaggi rispetto alla coercizione che imponeva il tiranno.
Paese a lungo isolato e oggetto di numerose sanzioni economiche, lo scorso dicembre il Sudan è stato ufficialmente rimosso dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo. Oggi, nella capitale si contano ben cinque incubatrici di start-up e i giovani stanno vantaggiosamente imparando ad approfittare delle opportunità offerte dalla libertà. Entro un anno sarà finalmente varata la nuova Costituzione che sta scrivendo Idea, un’organizzazione intergovernativa di sedici Paesi con sede a Stoccolma e finanziata dall’Olanda. «Nel frattempo, spero che avremo riformato l’esercito, composto da diverse milizie non sempre in accordo tra loro e pericolosamente potenti. Del resto, la commistione tra i militari e la politica è sempre rischiosa. È il caso del ricchissimo capo dei janjaweed, Mohamed Hamdan Dagalo, da tutti chiamato Hemetti, diventato membro del Consiglio supremo», sostiene Hatin Elmour, Sovrintendente dei beni artistici e culturali, con cui visitiamo il malconcio Museo archeologico della capitale. «Adesso noi intellettuali dobbiamo forgiare la nuova identità sudanese. Al Bashir l’aveva storpiata imponendone una versione razzista poiché costruita soltanto sulla storia, la religione e i costumi degli arabi, i quali in realtà rappresentano il 60% della popolazione, di un Paese che ha anche profonde radici cristiane», aggiunge Elmour mostrandoci gli splendidi affreschi medioevali della Chiesa Nubiana, che saranno presto visibili in un miglior impianto. E ciò grazie al generoso intervento dell’Italia, che ha appena stanziato un milione di euro per restaurare e riallestire la ricca collezione del Museo. Spiega l’ambasciatore a Khartoum, Gianluigi Vassallo: «Con la riqualificazione del Museo, l’Italia vuole partecipare alla valorizzazione della millenaria memoria storica sudanese contribuendo a individuare, attraverso la tutela del patrimonio culturale, un processo virtuoso di sviluppo e di crescita economica». Nella valida speranza che, assieme ai suoi straordinari siti archeologici, il Museo possa diventare un forte richiamo per far scoprire un Paese cinque volte grande come il nostro e ancora sconosciuto ai più.