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 2021  gennaio 26 Martedì calendario

Whatsapp, la privacy e il Funes di Borges

«Facciamo parte delle aziende di Facebook. In qualità di una delle aziende di Facebook, WhatsApp riceve informazioni da, e condivide informazioni con, le aziende di Facebook come illustrato nell’Informativa sulla privacy di WhatsApp, anche al fine di fornire integrazioni che consentano all’utente di connettere la sua esperienza WhatsApp con altri Prodotti di un’azienda di Facebook, per garantire sicurezza, protezione e integrità nei Prodotti di un’azienda di Facebook e per migliorare le inserzioni e l’esperienza dell’utente relativa ai prodotti facenti parte dei Prodotti di un’azienda di Facebook».
Su molti dei nostri telefonini è arrivata questa nuova informativa, che ci chiede di approvare le nuove regole WhatsApp sulla privacy.
Si tratta di una modifica non banale, in quanto il grande sistema di messaggi ci chiede di poter condividere le informazioni che trae dalle nostre conversazioni con tutte le altre aziende del gruppo Facebook. Lo scopo dichiarato è quello di migliorare il servizio e di offrire a ciascuno di noi servizi più personalizzati.
Ci siamo tutti un po’ preoccupati.
Poi abbiamo letto che la normativa europea sulla privacy renderà queste modifiche meno invasive. Addirittura, che forse whatsapp sarà multata dall’Autorità europea per i dati personali.
Ma comunque molti di noi hanno istintivamente abbandonato whatsapp, scappando su altre piattaforme di messaggistica, come Signal o Telegram.
Come se questa fosse la soluzione.
Del resto, non cambia molto se i nostri dati personali, le nostre conversazioni, i nostri gusti le regaliamo a una piattaforma piuttosto che a un’altra. Il problema vero è che la società dell’informazione ha profondamente modificato il concetto di privacy.
Sappiamo che il concetto nasce negli Usa a fine ’800 come “right to be left alone.” Cioè il diritto a essere lasciato solo, per evitare intrusioni nella sfera personale più intima. Non a caso ancora nel 1969 nelle nostre università si definiva la riservatezza come “quel modo di essere della persona, il quale consiste nella esclusione dall’altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla persona medesima”.
Ovviamente con il passaggio alla società della comunicazione è stato difficile mantenere questo concetto di privacy, intesa quale segretezza dei dati. Allora il concetto si è trasformato in senso procedimentale, ritenendo che la tutela della privacy passi al controllo sui dati, nel senso che ciascuno deve poter sapere a chi vanno i propri dati e l’uso che se ne farà. È l’idea di riservatezza come “consenso informato”, come consapevolezza al trattamento dei dati che ha trovato disciplina nella nostra legislazione a partire da fine anni ’90.
Ora questa idea di privacy è messa definitivamente in crisi da internet e dai social network. Ciascuno di noi continuamente lascia traccia di centinaia di dati personali, sui nostri spostamenti, sugli acquisti, su preferenze e opinioni, sulle persone che incontriamo, sui messaggi che inviamo.
Tutti dati registrati e tracciati da siti internet, telefonini, piattaforme.
Paradossalmente quando noi accediamo a queste reti abbiamo anche prestato il “consenso informato” al trattamento di questi dati. Quindi è tutto legale. Ma poi ne perdiamo totalmente il controllo, in quanto la rete immagazzina e processa un numero impressionante di dati.
Così viene meno anche l’altro profilo tradizionale della riservatezza, cioè il diritto all’oblio. Prima potevamo pretendere di cancellare i nostri dati usati da altri, ma ora è davvero impensabile tracciare ed eventualmente cancellare la nostra attività in rete. Sappiamo bene che il nostro “io-digitale” resta sempre accessibile e tutte le nostre informazioni diventano indelebili. In fondo internet è come il Funes di Borges: condannato a ricordare tutto, deve imparare a dimenticare.
Torniamo alla questione della nostra riservatezza dentro WhatsApp.
Ovviamente è impensabile trattarla come segretezza dei nostri dati o anche come tracciatura e consenso informato. Sono nozioni obsolete rispetto al funzionamento della rete.
E ovviamente ci serve a poco trasferire tutte le nostre operazioni su un altro operatore, scappando da whatsapp. Anche perché whatsapp ormai ha raggiunto i 2 miliardi di utenti in tutto il mondo e per noi uscirne non significa certo proteggere maggiormente i nostri dati, ma piuttosto diventare meno reperibili e meno facili da contattare, quando invece noi abbiamo interesse a restare sempre connessi e collegati.
Il problema va quindi affrontato da un altro punto di vista. Rispetto alla rete va pensata e applicata una nuova nozione di privacy. Ma a questo ci dobbiamo ancora arrivare.