Corriere della Sera, 26 gennaio 2021
Un Lupin troppo contemporaneo
La serie del momento è francese e attinge al serbatoio del leggendario Arsène Lupin, il ladro gentiluomo. Non è una trasposizione dei racconti di Maurice Leblanc di inizio ventesimo secolo, ma un’opera che ne rilegge il mito in chiave contemporanea (fin troppo), con inserti e risvolti da indagine sociale, dal razzismo alle disuguaglianze sociali.
In Lupin, creata da Georges Kay e François Uzan, il protagonista è Assane Diop (Omar Sy), un francese di origini senegalesi che lavora come addetto alle pulizie presso il Louvre di Parigi. Braccato da creditori che diventano per un momento suoi maldestri e improbabili complici, decide di buttarsi in un colpo spettacolare rubando dall’esposizione il collier appartenuto alla regina Maria Antonietta.
Tra straniamenti e situazioni al limite del grottesco, Assane si muove su un confine sottilissimo, indugiando su un passato di ingiustizie e sulla volontà di restituire la verità sulla morte del padre (calibrato l’uso del flashback); il suo punto di riferimento è il celebre ladro, conosciuto grazie al padre che l’ha introdotto alla lettura delle sue avventure. Lupin è la risposta francese a La casa di carta, un percorso a ostacoli in cui il furto o il crimine si ammantano di una funzione etica e salvifica; nell’affrontare il passato, la vicenda vira presto verso il giallo da risolvere, con una tensione che non sempre riesce a scaldare il cuore dello spettatore. La serie si compone di cinque episodi, per una visione godibile in cui apprezzare le qualità del protagonista e la fotografia, pur lasciando sullo sfondo e poco caratterizzati i personaggi di contorno. Lupin è l’ennesima prova del modello di produzione e racconto delle piattaforme streaming, e di Netflix in particolare: storie universali e accattivanti capaci di generare curiosità e occupare il discorso della comunicazione mainstream di stampa e social network.