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 2021  gennaio 26 Martedì calendario

Il bello della Loren su Netflix

A Sophia Loren sono toccati tantissimi ruoli nella vita, da quando a sedici anni iniziò a posare per i fotoromanzi ancora con il suo vero nome di Sofia Lazzaro: una carriera di quasi cento film l’ha fatta diventate la quintessenza della femminilità tricolore, acclamata in tutto il mondo, incoronata da un Oscar per La ciociara nel 1962, da un altro onorario nel 1991 e – a Hollywood lo danno per probabilissimo – da una nuova nomination per la sua ultima prova, La vita davanti a sé. Ma non le era mai capitato di essere indicata come maestra di vita, come dispensatrice di «buoni consigli» per madri di famiglia.
È quello che racconta il documentario Cosa farebbe Sophia Loren? (con l’accento rigorosamente sull’ultima e: Lorèn, com’è la pronuncia degli italoamericani) dove l’ottantenne Vincenza detta Nancy confessa alla macchina da presa come l’attrice italiana sia stata l’ispiratrice di tutte le sue scelte di vita, da quando ventenne (era figlia di immigrati calabresi arrivati nei Trenta in America) si ispirava all’esuberante napoletanità della pizzaiola dell’Oro di Napoli a quando il ruolo della madre nella Ciociara le insegnò come rialzarsi dopo il dramma di un figlio perso per un’imprudenza sportiva.
Il piccolo mistero di questo soggetto – perché scegliere proprio lei per raccontare questa storia? – lo si capisce verso la fine dei poco più dei trenta minuti del documentario: la figlia di Nancy, Regina, lavora nel cinema come produttrice ed è stata sua l’idea di fare un film su questo strano esempio educativo, prodotto da Netflix (sulla cui piattaforma è stato messo da pochissimi giorni) e diretto da Ross Kauffman. Ma fin dalle primissime scene si capisce che non siamo dalle parti dell’ennesimo caso «strano ma vero» ma piuttosto di fronte a una insolita riflessione sulla mitologia cinematografica e le sue inaspettate declinazioni.
Nancy non è la fan tradizionale che colleziona foto e ritagli della sua star, tutt’altro. La parete di casa dedicata alle fotografie è coperta da quelle dei figli (quattro) e del marito e quando mostra un bel ritratto della Loren negli anni Cinquanta è per sottolinearne la vitalità e il sorriso orgogliosamente meridionale. Attraverso le sue parole il mito della Loren si colora di una dimensione orgogliosamente italiana, quella di chi la mattina a colazione non trovava sulla tavola i Cheerios ma «la frittata coi broccolini». Certo, esiste anche il lato più provocante e il racconto di come volle imitare il celebre spogliarello di Ieri, oggi e domani presentandosi al marito in accappatoio è simpaticamente divertente, ma a vincere su tutto è proprio quell’assonanza tra due donne che sanno la fatica che costa vivere la vita.
Per questo il film lascia spazio anche a Sophia Loren, sul set di La vita davanti a sé, dove il figlio regista chiude sempre i ciak con un commovente «brava, mamma» e l’accompagna fuori dal set dandole la mano oppure quando l’attrice affronta di fronte alla camera i temi dell’età e del proprio ruolo o ancora quando, grazie a poco note interviste di repertorio, rievoca i momenti più personali della propria vita, dagli anni della povertà alle ragioni per cui rifiutò l’offerta di matrimonio di Cary Grant (con giustificazioni legate all’italianità che fanno riflettere).
In questo modo quello che poteva essere l’omaggio di una spettatrice alla star che l’aveva «ispirata» nei momenti difficili della vita («cosa farebbe Sophia Loren?» è il mantra che la mamma usava per Nancy e che lei ha continuato a ripetere ai suoi figli) si trasforma in un qualcosa di più trasversale, in una inaspettata riflessione sul ruolo dei film nella vita delle persone, sul rapporto non tanto con la mitologia delle star quanto con la forza assertiva del cinema e delle storie che sa raccontare, capace di trasformare i suoi personaggi in specie di amici consiglieri o, come dice Nancy nell’ultima scena alla Loren che ha finalmente incontrata, in «una buona insegnante».