La Stampa, 26 gennaio 2021
«Riapriamo e riempiamo di comparse i nostri teatri. Come a Sanremo». Intervista a Davide Livermore
«Assisteremo a Sanremo con il pubblico in sala? Allora noi apriremo i teatri e sul palco ci sarà il nostro festival: primo concorrente Shakespeare». È la promessa senza scampo di Davide Livermore, regista, attore, musicista e direttore del Teatro Nazionale di Genova, da poco passato attraverso il clamoroso successo della terza prima della Scala e artefice di un pensiero dritto, lontanissimo dal gettone di felicità tv per Amadeus e Fiorello: «È possibile immaginare che improvvisamente il pubblico si materializzi all’Ariston e l’immagine passi sulla testa china dei templi della Scala, il San Carlo, l’Opera di Roma, il Carignano e il Teatro Nazionale?». E allarga la sfida, la rende politica: «Davanti a Sanremo con gli spettatori dal vivo, il teatro italiano tornerà militante».
Lotta dura al Festival: da cosa comincia?
«Da un dato facile: la voce cultura in Italia vale 285 miliardi di euro, è la prima. Il calcio, per dire, porta 5 miliardi. Tutti i teatri sono in sofferenza, sono arrabbiati e indignati, ma siamo stati alle regole, ora però con Sanremo non ci stiamo, è discriminazione politica».
Parla solo a nome suo o esiste un collettivo, una rete?
«Io posso parlare solo a nome mio, ma certo fra teatranti siamo in contatto, ci confrontiamo sulle piattaforme istituzionali di Platea e Agis. So cosa farò io appena avrò la certezza di Sanremo in presenza e sono sicuro di quanti altri teatri seguiranno la mia azione».
Lo dica cosa farà.
«Penso a una maratona shakespeariana come a un intervento con 40 drag queen e attori da tutta Italia. Noi, gente di teatro, siamo pronti sempre: appena ripartono i musei, abbiamo una mostra per Palazzo Ducale, con attori chiusi nelle teche a leggere Edipo, il contagio».
Fiorello con una battuta ha definito il prossimo pubblico del festival pagato e non più pagante. La Rai pagherà le comparse per sedersi in platea e farà i tamponi a tutti: e voi riaprite e basta?
«Per niente. Noi staremo alle regole, se valgono per il Festival, valgono anche per noi: riapriamo e riempiamo di comparse contrattualizzate i nostri teatri. Si ha un’idea di quanta gente del mondo teatrale, dagli attori ai tecnici, è senza lavoro da mesi? E ogni comparsa potrebbe fare una donazione al teatro, che sarà il costo del biglietto. E tutti saranno tamponati».
Non ha problemi di denaro il Teatro Nazionale, se lo può permettere? Non pensa che qualche teatro pubblico si stia risanando con la chiusura?
«Tutto il teatro, che è per lo più pubblico, a parte qualche rarità, se lo può permettere: chi prende contributi deve creare cultura. Il Nazionale è un teatro della gente così come Shakespeare. E io uso il denaro che lo Stato mi consegna per fare cultura: non faccio questa azione per me stesso. Sono stato sovrintendente a Valencia e ora a Genova, io ripiano i bilanci lavorando, non tenendo chiuse le sale».
Non si pone un problema di responsabilità, se aprite voi lo vorranno fare anche i cinema, e poi i ristoranti, altre categorie.
«Vero, i cinema soffrono, ma sono esercizi privati. E a teatro io sto alla distanza necessaria con mascherina, non mangio una pizza».
La Rai da Sanremo ha un guadagno pubblicitario gigantesco: dovrebbe rinunciarci?
«Ridistribuisca sul mondo della cultura. Il teatro non si occupa di promozionare case discografiche o tour come fa Sanremo».
Anche X Factor è andato in onda con il pubblico-comparsa, vi è sfuggito?
«Sì, almeno io non me ne sono accorto. Intanto lo manda in onda una tv a pagamento, poi possiamo rilevare che la finale in prima serata di X Factor ha fatto 1 milione e 200 mila spettatori, il gala della Scala alle 17 ha fatto 3 milioni. Ma la politica sa di cosa parliamo?».
Lei ha chiarito il tema della militanza con il ministro Franceschini?
«La politica ha un pensiero troppo semplice per immaginare cosa stia generando, mentre Franceschini, uomo di cultura, deve affrontare questo frangente, a cominciare da Sanremo. E spero di incontrarlo nei prossimi giorni». —