la Repubblica, 26 gennaio 2021
E adesso rileggiamo Primo Levi
L’immagine che meglio racconta la personalità di Primo Levi, l’uomo, il testimone, e naturalmente lo scrittore, è quella del poliedro, figura geometrica con tante facce, la cui prerogativa è che non si possono mai vedere tutte contemporaneamente, e quando una è visibile, le altre sono nascoste dietro, in ombra. Auschwitz, città tranquilla il bel libro allestito da Fabio Levi e Domenico Scarpa (edito da Einaudi e in edicola con Repubblica) ci permette di scorgere altre facce sconosciute o ignote di Primo Levi, il cui paradosso come testimone è d’essere stato nello stesso tempo il soggetto e l’oggetto di quello accadeva nel Lager: osservatore e insieme osservato. L’attacco del racconto che dà il titolo al volume è un perfetto esempio del suo modo di guardare le cose e gli uomini: «Può stupire che in Lager uno degli stati d’animo più frequenti fosse la curiosità». La curiosità è una delle muse dello scrittore come del deportato e del chimico. Osserva tutto, riflette e ne fa materia di narrazione come in Angelica farfalla o in Versamina, dove il campo di concentramento diventa altro nel racconto fantascientifico, o fantabiologico, come lo definì Calvino quando lo lesse in dattiloscritto. Poi ci sono racconti in cui la narrazione si trasforma in saggio, o meglio Levi trasforma in racconto aspetti più complessi come la compromissione dei tedeschi comuni allo sterminio: Vanadio e Auschwitz, città tranquilla. Il primo, poi, capitolo di Il sistema periodico, è uno dei gialli più complessi di Levi, quasi una detective story, genere ben presente nei suoi racconti come dimostra Un “giallo” nel Lager. Il re dei Giudei parte da una moneta ritrovata e diviene una riflessione sulla capacità di perversione che il potere genera nelle stesse vittime, uno dei racconti- saggio più importanti di Levi: riflessione sulla zona grigia. C’è anche il Levi che usa la chiave comica, come in La bella addormentata nel frigo, riscrittura in chiave teatrale della famosa fiaba di Basile e dei fratelli Grimm, con il suo inatteso finale tragico. Su tutto domina il tema della responsabilità dei tedeschi, non solo dei nazisti, delle SS, ma della gente “normale”, e dappertutto ci sono sempre aspetti che rimandano ai temi della chimica.Levi conosce la lievità, se non proprio la leggerezza calviniana, anche trattando questioni estreme, ed è ironico e insieme sarcastico, e nel contempo inquietante e grave, persino minaccioso, come nel racconto Forza maggiore, dove l’elemento onirico è ben presente sottotraccia. Insomma una tastiera molto ampia entro cui trova posto la sua poesia, che è il luogo dove parla in modo diretto di sé, del proprio dolore, delle angosce e degli incubi usando forme tradizionali e facendo anche il verso ad altri autori – c’è persino un Levi parodico e giocoso. Un autore con molti e diversi profili.Nel Lager si cerca di sopravvivere, per questo serve astuzia e capacità invenzione, come mostra Cerio, perché la prima cosa necessaria per scampare è essere curiosi, originali e imprevedibili. L’originalità di Primo Levi risiede in definitiva nella sua capacità d’inventarsi scrittore tornando da Auschwitz, proprio grazie all’esperienza estrema che ha attraversato. Uno scrittore che non cessa di stupire con la sua intelligenza, sensibilità, con lo strumento d’una lingua modulata in stili e forme sempre diverse, un classico e insieme uno scrittore contemporaneo, che dobbiamo ancora conoscere bene. Un autore sempre diverso, come capita ai classici. Più passa il tempo, più il chimico torinese trova nuovi lettori attenti alle numerose cose che aveva da dire.