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 2021  gennaio 26 Martedì calendario

Periscopio

A Giuseppe Conte il sistema politico ha lasciato divorare non solo il Parlamento, ma poi anche il consiglio dei ministri. Fa tutto da solo. Non rende conto a nessuno. Purtroppo fra l’indifferenza dei partiti democratici e delle autorità istituzionali. Fausto Bertinotti, già presidente della Camera. La7.
La classe dirigente di Fi non è brillante. Per questo ha fallito le riforme liberali. Io stesso mi sento orfano delle promesse non realizzate. Ma lui, il Cav, è forte: si sta gestendo meravigliosamente anche il tramonto. Fabrizio Rondolino, scrittore (Giancarlo Perna). Libero.

Oggi vedo Milano come una città depressa e silente, ma questo conta poco perché questa città ha sempre dentro la capacità di lasciarsi alle spalle il brutto e ripartire. Paolo Pillitteri, ex sindaco di Milano (Giannino della Frattina). il Giornale.

Certo è che i predecessori di Mattarella non avrebbero mai adottato la linea attendista e, pur con stili diversi, mai avrebbero permesso uno spettacolo così indecoroso. L’uscita di Italia Viva aveva come unica risposta le dimissioni del Premier per poi affidargli, subito dopo un breve giro di consultazioni, la possibilità di un nuovo incarico. Cossiga e Napolitano, un cattolico e un comunista, avrebbero agito con il timone saldamente in mano. Il Picconatore avrebbe risposto che, con il Covid nelle case, «ad atto di guerra si risponde con atto di guerra» e lui stesso avrebbe favorito la formazione di un gruppetto di responsabili chiamando a raccolta una nuova versione degli «straccioni di Valmy», con Clemente Mastella sempre protagonista. Luigi Bisignani. Il Tempo.

«Portamene più che puoi», lo ha implorato Giuseppe Conte. «Possibilmente, prima di mercoledì». Tabacci finora, di volonterosi, ne ha trovati 13 alla Camera (ma per formare un gruppo autonomo di sostegno al premier ne servono almeno 20) e pochi, ancora troppo pochi al Senato, dove i numeri della maggioranza (come sappiamo) sono assai incerti. La ricerca di «responsabili» affidata a quest’uomo di 74 anni – serio, puntiglioso, stimato fondatore di numerosi partitelli dopo essere sopravvissuto alla scomparsa della Balena bianca (ogni tanto fa bene all’umore citare Giampaolo Pansa) – può apparire meno mortificante e invece dev’essere chiaro che anche lui sta cercando gentiluomini del tipo Razzi o Scilipoti: Tabacci va in giro a blandire, promettere, convincere, s’è appassionato alla causa che l’ha riportato sui giornali ed è quindi instancabile, è mattiniero fino al sadismo, un breve rosario ed esce dalla sua abitazione romana. Però quelli di Sky, in appostamento da ore, sono ormai rassegnati, dicono che questa mattina non si farà vedere. È sabato, e sebbene siano ore drammatiche e decisive, lui il sabato risale a Milano (è strepitosa questa cosa dei parlamentari che, cascasse il governo, e sta cascando, il weekend loro devono passarselo in territorio familiare). Fabrizio Roncone. Corsera.

Ho la fama di Casanova ma non scherziamo. È solo la legge dei numeri. Se vengo intervistato una sera in tv mi vedono 9 milioni di persone. Almeno 4 milioni saranno donne. Non vuole trovare lì in mezzo una decine di matte che mi scrivono un biglietto o mi telefonano? Luciana Baldrighi, Feltri racconta Feltri. Sperling & Kupfer Editori, 1997.

Ogni programma televisivo ha il proprio virologo di fiducia. La gente viene rimbambita a colpi di informazioni contraddittorie. Con la conseguenza, negativa, di lasciare spazio alle tesi negazioniste. All’inizio un mio conoscente non prendeva sul serio l’esistenza del Covid. Ma un brutto giorno è stato contagiato, finendo nel reparto intensivo. L’ho rivisto qualche tempo fa al bar: dimagrito e con un’aria sofferta. Mi ha guardato e ha detto: «Ora ho capito. Tutti possiamo sbagliare...». Carlo Verdone, attore e regista (Nino Materi). il Giornale.

Dalle ceneri della sua storia secolare, nei primi Novanta, nasce la più mostruosa delle caricature: la «liberaldemocrazia» sub specie Berlusconi e Publitalia. È col partito di plastica berlusconiano che il liberalismo italiano tocca il fondo: guadagna in popolarità, per un po’ si trasforma nella bandiera d’un partito di massa, ma paga pegno diventando irriconoscibile e abdicando (è dir poco) alla sua natura. Con Forza Italia del liberalismo resta solo il nome, e chi lo pronuncia «sdogana i fascisti» e tifa per Vladimir Putin, di cui si proclama «amico» e al quale regala persino un «lettone». Diego Gabutti. Informazione corretta.

De Gasperi era stato capogruppo alla Camera e segretario del Partito popolare. Ma prima di diventarne un fiero oppositore aveva votato la fiducia al governo Mussolini. Fu una fase brevissima, che non gli piacque per nulla. Mio papà sapeva bene che il partito non aveva le forze per combattere il fascismo. Era un uomo serio. Un uomo di verità. Maria Romana De Gasperi (Aldo Cazzullo). Corsera.

Giuseppe Cipriani (l’inventore dell’Harris Bar) era nato a Verona il 4 novembre 1900 da una famiglia poverissima, ultimo di otto figli. Anche Arrigo, il figlio e successore, fu partorito a Verona, il 23 aprile 1932, e infatti parla tuttora un veronese purissimo, per nulla imbastardito dal veneziano. Il genitore lo fece battezzare con il nome, tradotto in italiano, del bar che da allora è il più famoso al mondo. Un omaggio al suo cliente, e poi socio, Harry Pickering, al quale nell’estate del 1929 aveva prestato 10 mila lire per consentirgli di tornare negli Stati Uniti. Stefano Lorenzetto. L’Arena.

Lino Mannocci è artista importante e appartato, del quale qualche tempo fa avevo letto un’intrigante storia sul matrimonio del pittore Gino Severini con Jeanne Fort nella Parigi del 1913. Testimoni dello sposo furono Apollinaire e Marinetti, come se cubismo e futurismo fossero convolati a giuste nozze. «Nel racconto ho cercato l’aspetto emblematico di un momento irripetibile. C’erano i migliori talenti delle avanguardie invitati a quel matrimonio. Ho lavorato sui reperti documentari manipolando fotografie e cartoline e poi dipingendo una serie di quadri che tenevano sullo sfondo quel contesto. Ero come l’ospite giunto in ritardo che ha potuto cogliere la gloria e il disfacimento di quel mondo». Lino Mannocci, pittore (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Il Rinascimento in Italia fu la rivoluzione culturale delle classi ricche. Non raggiunse mai il popolo. In Germania, invece, la Riforma fu una rivoluzione nazionale che modificò e la condizione dei governanti e quella dei contadini. Giuseppe Prezzolini, L’Italia finisce. Rusconi libri, 1994.

Mia moglie pensa di me quello che al suo posto penserei io. Roberto Gervaso.