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 2021  gennaio 26 Martedì calendario

Mauro Balletti dipinge Mina. Intervista

Signorile, educato, umile e autorevole, Mauro Balletti predilige i toni pacati. L’atelier è anche la sua abitazione, vicino ai Navigli di Milano. Quadri e disegni a china, figure fetali avvolte su se stesse. Artista a tutto tondo, sul crinale tra la fotografia e la pittura, Balletti è anche e soprattutto l’uomo dietro le celebri copertine di Mina. “Mio nonno era un pittore e anche mio padre. Sono nato e cresciuto in una casa zeppa di quadri, non c’era una parete libera”.
Casa di artisti genio e sregolatezza?
No, molta serenità. Mio padre era dirigente di banca: aveva quattro figli da mantenere… Ma un pizzico di follia nel nostro Dna c’è. Anzi, libertà. Io ho fatto Lettere ma ho lasciato a metà perché ho iniziato a lavorare da Luigi Brambati, un amico di mio padre, anche lui pittore. Mi considero autodidatta. A 21 anni sono diventato il fotografo di Mina.
Com’è nato il vostro incontro?
Avevo una passione spasmodica per lei dall’età di 14 anni: Un anno d’amore, E se domani… Nel 1972 sono andato alla Bussola e l’ho conosciuta: mi sono presentato al locale durante le prove nel pomeriggio… Mina era esattamente come l’avevo immaginata. Mi ha chiesto di cosa mi occupavo e le ho risposto: “Pittore”. E lei ha ribattuto: “Perché non mi fai delle foto”?… In realtà le foto le ho iniziate a fare qualche mese dopo. Ci sentivamo spesso al telefono e ci siamo rivisti sul set del carosello della Tassoni, a Salò. La prima foto che le ho scattato è una con i capelli corti biondi e il sigaro, utilizzata per le copertine di Frutta e Verdura e Amanti di valore. In seguito il regista Antonello Falqui l’ha voluta come in quella foto per la sigla Non gioco più. Non avevo nemmeno una macchina fotografica, me la prestò un mio amico.
Come nasce una sua copertina?
In genere scatto alcune foto a casa sua, con la luce naturale. Prima parliamo dell’idea dietro al progetto. Per il culturista di Rane Supreme o la foto con la barba in Salomè non c’era post-produzione, semplicemente non c’era il computer, quindi si scattava dal vivo.
Oltre al rapporto professionale capita di parlare della vostra vita privata?
Certamente. Anzi, soprattutto. Non ci sono segreti. È l’essere umano più intelligente mai conosciuto, ha un cervello leonardesco. Per me lei ha lo stesso sguardo di Picasso, di Fellini, della Callas: occhi dove vedi il fuoco dell’intelligenza.
In 49 anni di sodalizio, mai uno screzio?
Mai. È stata l’evoluzione del mio amore per lei.
Contemporaneamente inizia il suo percorso artistico di pittore…
A vent’anni non facevo programmi. Avevo l’incoscienza tipica di quell’età. Vengo da una famiglia che mi ha insegnato a non mettermi in mostra, a non sgomitare. La mia prima personale è stata nel 1980 alla Galleria “L’isola in Brera” a Milano. Non so se sono un fotografo anche se faccio fotografie: sono un lavoratore delle immagini. E un pittore. Oltre a Mina ho collaborato con Ornella Vanoni, Anna Oxa, Pooh, Vasco Rossi, Mario Lavezzi, Gianni e Marcella Bella, Loredana Bertè.
Com’è stato lavorare con questi artisti?
La Vanoni la preferisco adesso; Loredana è una matta ma molto lucida, le ho scattato una foto diventata celebre, quella vestita da suora.
Nei suoi quadri disegna personaggi veri o immaginari?
Quando inizio a disegnare non ho idea di cosa sto facendo, me ne accorgo dopo un po’ e magari riconosco qualcuno che ho conosciuto. Ad esempio, una volta mi sono reso conto che stavo dipingendo l’infermiere che mi aveva prelevato il sangue qualche giorno prima. Una mattina, mentre ero al telefono, ho scarabocchiato un volto e solo alla fine ho realizzato che era mio padre.
Il pennello strumento dell’inconscio: un dono…
Credo di sì.
I suoi quadri ricordano Picasso e i disegni di Fellini.
Io amo Picasso. Una grande fonte di ispirazione (gira per il suo studio-abitazione e mostra un angelo enorme sopra il letto).
Un angelo?
È il mio angelo. Io sono ossessionato dall’annunciazione. Sono amante del Beato angelico. Stavo disegnando in corridoio, per terra: ho iniziato da un piede e da lì il resto.
Tra tutti i suoi disegni questo è l’unico che sembra finito, compiuto.
È così. Ci vedo delle sculture. Faccio i disegni a china. Il gusto è di non sbagliare col pennino.