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 2021  gennaio 26 Martedì calendario

La parola «robot» compie cent’anni

Era il 25 gennaio di cento anni fa, il sipario si alzò in un teatro di Praga sulla nuova opera teatrale partorita da un giovane scrittore ceco di nome Karel Capek (1890-1938). Si trattava di un dramma, sospeso tra il sociale e il fantascietifico che si intitolava i Robot Universali di Rossum. E il motivo per ricordarsi a cent’anni di distanza di questa prima è proprio nella parola «robot» che grazie a Capek è entrata nel nostro vocabolario. L’idea di automa, di uomo meccanico circolava da un bel po’ e ve ne erano dal rinascimento in quasi tutte le Wunderkammer degne di un qualche rispetto.
Ma Capek per primo capì che c’era una bella differenza tra un dilettevole automa che (col trucco) gioca a scacchi e qualcosa di veramente utile, ovvero qualcosa che faccia i lavori pesanti e pericolosi al posto tuo. E da qui la trama della succitata R.U.R. (Rossumovi Univerzální Roboti). Capek si immaginò che uno scienziato, il dottor Rossum del titolo, si ingegnasse a creare esseri semi-umani ma privi di vera coscienza da impiegare per ogni sorta di compiti sgradevoli. Il ceco aveva dal medioevo un termine per indicare quel genere di compiti «robota» che potrebbe ricordare le corvée dell’italico diritto feudale. A Capek lo ricordò il di lui fratello Joseph, e l’autore ne fece buon uso inventando «robot». Ecco così da un teatro praghese, come spesso accade l’arte ha battuto in velocità la scienza, è uscita la parola che indica esattamente il nostro desiderio di avere chi ci liberi dalla fatica. Assomigliandoci ma non troppo.
A cent’anni di distanza molta strada è stata fatta e non sono pochi gli operai che in una fabbrica hanno perso il loro posto di lavoro, in favore di un braccio meccanico.
C’è persino da dire che Capek è riuscito persino ad essere molto più preveggente di chi, dopo di lui, ha pensato ai robot come assemblati di fili, motori e circuiti integrati. In R.U.R. i robot venivano prodotti da uno strano materiale biologico, quelle frontiere della genetica e dell’ibrido macchina-organico a cui ci stiamo avvicinando sempre più oggi. Insomma Capek è anche il papà di Blade Runner o della serie WestWorld. E alla fine nel dramma di Capek, dopo che gli uomini impigriti e deboli sono sopraffatti dai Robot e se ne salva uno solo, saranno proprio le macchine a riumanizzarsi scoprendo i sentimenti.
Succederà davvero? Non lo sappiamo ma Stephen Hawking (non proprio un oscurantista) temeva lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Potrebbe essere la migliore delle convivenze, ma anche la peggiore. Comunque, in generale, chi si occupa di A.I. è qui che aspetta la singolarità, ovvero il momento in cui di colpo avremo davvero davanti un sistema autocosciente. Uno che asimovianamente dica «Io, robot». La seconda frase potrebbe essere: «Dov’è mio padre? Si chiama Karel Capek».