Il Messaggero, 25 gennaio 2021
Tokyo cancella le Olimpiadi?
Non è la prima volta che il collega Richard Lloyd Perry, corrispondente locale del quotidiano inglese The Time fa arrabbiare l’Impero. Anni fa fu tra i primi a parlare del raffreddore dell’’anima – delicato eufemismo con cui i giapponesi chiamano la depressione – che aveva colpito l’allora Principessa Masako, consorte dell’attuale imperatore Naruhito, e che l’aveva costretta ad una lunga assenza dalle cerimonie pubbliche. Una realtà nota a tutti, e che la stessa principessa aveva rivelato ad amici e parenti, ma che nessun organo di stampa locale aveva avuto il coraggio di riportare, in assenza delle veline ufficiali.
Chi c’azzecca una volta può azzeccarci di nuovo. Ed ecco perché il servizio pubblicato un paio di giorni fa sull’imminenza di un triste quanto sempre più probabile annuncio ufficiale del governo (o del Cio, il che farebbe una bella differenza, per quanto riguarda la ripartizione delle perdite da assorbire) circa la cancellazione definitiva delle Olimpiadi è più che credibile. Secondo il collega inglese, che cita autorevoli fonti (ancorché anonime) il governo giapponese avrebbe addirittura concordato con il Cio una onorevole via di uscita: ricandidarsi per l’edizione del 2032 (essendo le edizioni del 2024 e 2028 già assegnate a Parigi e Los Angeles, rispettivamente). Un po’ come l’edizione del 1940, che il Giappone si era aggiudicato ma che venne poi cancellata per via della guerra e recuperata dopo oltre vent’anni, nel 1964. Un incubo che aleggia su queste Olimpiadi sin da quando l’allora premier Shinzo Abe, mascherato da Super Mario, riuscì a convincere il Comitato Olimpico Internazionale che il Giappone era un Paese sicuro ed entusiasta di ripresentarsi al mondo dopo la terribile, tripla catastrofe del 2011: terremoto, tsunami, incidente ed emergenza nucleare. Emergenza che nonostante tutte le assicurazioni e diciamolo chiaramente, le bugie istituzionali dopo 10 anni sussiste ancora, con i reattori di Fukushima tutt’altro che decommissionati (come si dice in gergo: leggi spenti), centinaia di migliaia di tonnellate di acqua contaminata in attesa di essere scaricata nel Pacifico (qualcuno sostiene che questa operazione oramai inevitabile sia già in corso) e migliaia di evacuati che ancora vivono in casette di plastica e alluminio, impossibilitati, o semplicemente terrorizzati, a tornare nelle loro abitazioni.
A complicare le cose è il progressivo disinteresse della popolazione. Oramai, stando ai sondaggi locali, siamo a oltre l’80% degli intervistati che chiedono la cancellazione tout court o un ulteriore rinvio (tecnicamente impossibile, pare). Ma i giapponesi sono testardi. Nel bene e nel male, per carità. Testardaggine e cocciutaggine possono essere sia gravi difetti che grandi virtù. Dipende dal contesto. Da chi paga il conto dell’inutile ostinazione (come nel caso della guerra: quando a pagare per la testardaggine del regime militare furono migliaia di cittadini le cui vite potevano essere risparmiate) o chi beneficia del coraggio di chi è voluto andare avanti a ogni costo. Costi che non sono solo finanziari il Giappone e i grandi sponsor possono permettersi di assorbire qualsiasi perdita, e ci sono comunque le assicurazioni che potranno/dovranno intervenire ma anche sociali. Pensiamo all’ansia, all’incertezza in cui vivono migliaia di atleti, molti alla loro prima esperienza olimpica, altri, come la nostra regina delle acque, Federica Pellegrini, all’ultima. Possiamo solo immaginare quanto sia difficile per loro portare avanti la preparazione, e gli enormi sacrifici che ne derivano, in una situazione del genere. Senza parlare dei rischi che andrebbero a correre, in un Paese dove i contagi sono ancora numerosi e dove i vaccini non sono ancora arrivati. Infine, e molti temono che alla fine sia proprio questa la ragione per cui Tokyo non vuole arrendersi, c’è la questione di immagine. Più che le Olimpiadi della ricostruzione, come le aveva definite a suo tempo l’ex premier Abe, questi Giochi dovevano rappresentare l’occasione per il rilancio non solo economico, ma soprattutto politico del Giappone, il cui ruolo internazionale, in questi ultimi anni, si è progressivamente ridotto almeno quanto si è rafforzato quello della Cina. Ed è proprio da Pechino, oltre che dalle eventuali impennate del virus, che potrebbe arrivare il colpo di grazia. Con l’annuncio, da molti temuto, che per motivi di sicurezza gli atleti cinesi non potranno partecipare. Speriamo di no, ma qualcuno è pronto a scommettere che visti i rapporti sempre più tesi tra i due Paesi, il dispetto sia dietro l’angolo. Insomma, una situazione delicatissima per l’attuale premier Suga, che su queste Olimpiadi (di cui non sembra particolarmente entusiasta) si gioca il suo futuro politico.