La Stampa, 25 gennaio 2021
Il traffico internazionale dei rifiuti ospedalieri che la mafia spedisce in Tunisia
L’accusa è stata lanciata giovedì da un giornalista di «France 2» secondo cui «nel Sud Italia la mafia gestisce i rifiuti ospedalieri e li ha spediti in Tunisia dove sono stati interrati. Alcune associazioni ambientaliste hanno posto la questione se il Paese non sia diventato la pattumiera d’Italia. C’è un’inchiesta in corso, si cercano in Italia i responsabili di questa esportazione scandalosa dei rifiuti ospedalieri». In realtà, finora si sa dell’inchiesta tunisina che, alla vigilia di Natale, ha portato in carcere 12 persone e tra loro il ministro dell’ambiente che appena il giorno prima aveva lasciato l’incarico. L’accusa di traffici di rifiuti ospedalieri con la mafia non trova, ancora, riscontro anche se, certo, la Campania è la regione che più di altre negli ultimi decenni è stata al centro di polemiche, indagini e inchieste della magistratura sul ciclo dei rifiuti, anche per il pesante ruolo della camorra. E che, stando ai dati Ispra, è anche quella che esporta di più oltre confine. C’era già stato il Portogallo come punto d’arrivo del fragile sistema di smaltimento messo in piedi all’ombra del Vesuvio. Nella sola discarica di Setubal sono finite oltre 20 mila tonnellate di quelle ecoballe accatastate da 20 anni a Giugliano, mentre 15 mila tonnellate di residui degli «Stir» del Napoletano sono state accolte vicino a Porto. Finché le proteste hanno spinto il governo portoghese a imporre, lo scorso febbraio, uno stop alle licenze.
Il caso Tunisia, però, sembra ben diverso. Una azienda campana di smaltimento dei rifiuti, la «Sviluppo Risorse Ambientali srl» di Polla (Salerno), ha inviato nel Paese africano 12 mila tonnellate di quelli che definisce «rifiuti non pericolosi» e di «altri rifiuti (compresi materiali misti)», lavorati dal proprio impianto, grazie a due autorizzazioni della Regione Campania, febbraio e luglio 2020, e a quelle giunte dalla Tunisia; materiale destinato alla società Soreplast Suarl di Sousse, a sud di Tunisi, che si occupa di recupero, riciclaggio e compostaggio di rifiuti. Un affare da 5 milioni di euro. Il primo carico di 70 container, arrivato in maggio, fu ricevuto dalla Soreplast e smaltito, non è noto come. Altri tre carichi, 212 container inviati in luglio, sono rimasti invece sotto sequestro nel porto di Sousse. La Tunisia ne avrebbe chiesto la restituzione all’Italia ma sono ancora lì.
Le avvisaglie dello scandalo a novembre, quando la tv privata tunisina El-Hivar Ettounsi denuncia l’importazione di 282 container di rifiuti dell’Italia. Il ministero tunisino degli affari locali e dell’ambiente apre un’inchiesta; il direttore generale, Hédi Chebili, dirà a Le Figaro che «queste attività non rispettano la legislazione nazionale e nemmeno le convenzioni internazionali». Indaga anche la procura di Sousse, in particolare sulla circostanza che l’autorizzazione era per importare «scarti plastici per il riciclaggio industriale». Il 21 dicembre c’è la svolta: delle 23 persone indagate, 12 vengono arrestate. Tra loro l’ex ministro dell’ambiente Mustapha al-Aroui, «dimissionato» il giorno prima, un altro ex ministro, dirigenti e funzionari del ministero e dell’agenzia per i rifiuti, della dogana e perfino un ex console tunisino a Milano. Dalla Tunisia, voci di inchieste aperte anche in Italia.
Il titolare della Sviluppo Risorse Ambientali, Antonio Cancro, qualche giorno fa ha diffuso una nota nella quale spiega di avere avuto le autorizzazioni per spedire quei rifiuti, anche se il governo tunisino «oggi si rimangia le autorizzazioni rilasciate a suo tempo»; dice di avere affidato ai legali la questione e minaccia querele «verso quei soggetti che hanno additato la scrivente come un’azienda che opererebbe contro legge». La deputata tunisina di opposizione Majdi Karbai twitta: «Dodicimila tonnellate di rifiuti illeciti e ospedalieri, secondo un reportage francese spediti dall’Italia in Tunisia, hanno provocato uno scandalo; un ministro licenziato e arrestato, altri sotto inchiesta. In Italia silenzio mediatico. Immaginati se arrivassero cento tunisini». —