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 2021  gennaio 25 Lunedì calendario

Sulla Pandemic fatigue

Alzi la mano chi non si sente trafitto dalla “pandemic fatigue”, stanchezza, esaurimento, affaticamento pandemico. Riguarda, a circa un anno dall’esordio del Covid-19, praticamente ogni membro di ogni società in ogni Paese. Si manifesta dopo sei mesi di obbediente adesione alle strategie di risposta all’emergenza, le cosiddette Npi, un acronimo sotto il cui ombrello sono compresi gli interventi non farmaceutici (lockdown, distanziamento sociale, uso obbligatorio delle mascherine, igiene delle mani). Il fatto è che se al primo irrompere di una crisi, in situazioni di stress, gli esseri umani fanno appello, per sopravvivere, a tutte le risorse di adattamento mentale e fisico di cui dispongono, l’allungarsi di una terribile emergenza con restrizioni e misure senza precedenti, in grado di condizionare la vita quotidiana di tutti, esige una nuova modalità che produce fatica e demotivazione, influenzate da una complessa interazione di fattori che condizionano i comportamenti protettivi. Del resto, ci troviamo in una situazione del tutto nuova nella storia dell’umanità: dalla peste al colera, alla Spagnola, nessuna epidemia/pandemia ha comportato sospensioni altrettanto lunghe e drammatiche della vita economica e sociale come conseguenza di misure quali cordoni sanitari, quarantene, isolamenti, restrizione dei movimenti di uomini e merci. Per fare un solo esempio. Dopo aver infuriato per meno di due mesi, tra il settembre e l’ottobre del 1918, la seconda ondata della pandemia influenzale allentò la presa e in novembre fu possibile riaprire scuole, chiese, teatri, ritrovi, ristoranti.Al perdurare della situazione pandemica sono legati diversi effetti: la minaccia percepita del virus diminuisce man mano che le persone si abituano alla sua esistenza, anche se i dati epidemiologici, sono lì, testardi, a dimostrare che il rischio è ancora presente. E intanto aumentano le perdite sperimentate, sul piano personale, sociale ed economico, a lungo termine per tanti, come conseguenza di misure invasive. A dare conto del fenomeno della “fatica pandemica” e a quantificare il crescente livello di apatia e resistenza alle restrizioni, è un’indagine condotta negli Usa da un gruppo di ricercatori, tra aprile e novembre dell’anno scorso. Pubblicati qualche giorno fa da una delle più autorevoli riviste mediche al mondo Jama, i risultati ci raccontano la vita immiserita a cui siamo costretti. E, insieme, il calo dell’indice di aderenza nel periodo in esame. Solo l’uso della mascherina ha mostrato un aumento significativo, tra i 7705 partecipanti. Hanno invece conosciuto una flessione, in particolare per le uscite da casa, tutti gli altri comportamenti protettivi: il non ricevere visitatori e avere contatti (entro sei piedi) con non conviventi; l’essersi tenuti lontani da ristoranti, incontri, luoghi affollati.I segni di stanchezza pandemica nelle popolazioni – con ciò che comporta in termini di demotivazione ad attenersi alle condotte raccomandate – è avvertita e segnalata dai Paesi dell’area europea dell’Oms che ha elaborato un documento, significativamente intitolato “Pandemic fatigue. Reinvigorating the public to prevent Covid-19”. Le strategie per mantenere e “rinvigorire” il sostegno pubblico, occupano diverse pagine in cui sono citati alcuni esempi di Paesi che hanno introdotto innovazioni. In Germania, per dire, la discussione sulle restrizioni ha coinvolto, oltre a virologi ed esperti in ambito medico-scientico, altre voci a sostegno dell’equilibrio etico e culturale. Tra i consulenti del governo, filosofi, storici della scienza, teologi, pedagogisti e giuristi, che hanno fornito “un input prezioso” su temi quali l’istruzione dei bambini di famiglie svantaggiate, la legittimità delle restrizioni delle libertà, e l’equilibrio tra sostegno pubblico e norme morali/azione coercitiva dello Stato. Niente del genere in Italia, dove le scienze umanistiche sono del tutto assenti dal Cts e la comunicazione è affidata a conferenze stampa e alle dichiarazioni dei ministri nei talk che hanno covidizzato il dibattito pubblico, lasciando fuori emozioni, esperienze e percezioni