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 2021  gennaio 24 Domenica calendario

Contro il divieto di fumo all’aperto

Sono un fumatore. Prima che fumatore sono, però, una persona con i suoi diritti, un individuo con le sue peculiarità, un essere umano con le sue debolezze e le sue capacità, le sue poche virtù e i suoi inestirpabili vizi, un libero cittadino di una città libera, aperta, tollerante.
Il provvedimento «Aria» — con il quale il Comune di Milano prevede di imporre, ovunque e a chiunque, il divieto di fumo all’aperto entro il 2025 — è, a mio giudizio e a dispetto del suo nome, soffocante, ingiusto, inutile, non perché colpisca il fumatore ma perché viola i diritti della persona, impone un indebito controllo sull’individuo, opprime la libertà del cittadino e, soprattutto, perché fraintende completamente l’essere umano.
I fatti. Partiamo da quelli. Il fatto non è che, come propagandato, dal 19 gennaio il capoluogo lombardo, multando chi si accenda una sigaretta alla fermata dei mezzi pubblici, nei parchi, nei cimiteri, sugli spalti degli stadi, si sia avviato a diventare una green city smoking free (rigorosamente in inglese, mi raccomando, altrimenti sarete poco green e poco cool). No. Il fatto è che l’aria della Pianura Padana è la più inquinata d’Europa. Negli stessi giorni nei quali il Comune di Milano mi proibiva di fumare una sigaretta meditando sulla morte nei viali deserti del magnifico cimitero Monumentale, la rivista scientifica The Lancet Planetary Health pubblicava una ricerca secondo la quale tra le 20 città europee con la mortalità più alta per polveri sottili 14 sono città padane (le aree metropolitane di Torino e Milano figurano nei primi cinque posti per mortalità associata al diossido di azoto). La scelta di Milano è, dunque, conseguente e coerente con questa gravissima e perdurante emergenza ambientale (le cui connessioni con la diffusione del Covid sono, fra l’altro, probabili)? Mi perdonerete, spero, ma a me sembra, invece, che proprio queste premesse rendano la scelta della giunta meneghina ipocrita e perfino ridicola.
Tutti sanno che responsabili dell’avvelenamento dell’aria sono i trasporti, l’industria, l’agricoltura, il riscaldamento. È, dunque, evidente che, non riuscendo ad affrontare il problema alla radice, si sceglie di rifugiarsi nell’antica, sciagurata pratica del capro espiatorio. Poiché attuare un’autentica «rivoluzione verde» nell’industria, agricoltura, trasporti e riscaldamento è impresa enorme, si preferisce gettare lo stigma addosso al fumatore presentato come untore. Beppe Sala si è messo alla testa di una rete di municipalità europee che lavorano al progetto della «green city» e tutti i cittadini che abbiano a cuore il futuro (oltre che il presente) dovrebbero sostenerlo in questo sforzo ma, caro Sindaco, a condizione che si faccia sul serio e che non ci si riduca alla demagogia di una grottesca caccia alle streghe.
C’è un secondo motivo che dovrebbe respingere tutti, fumatori e non fumatori, a rigettare l’ideologia integralista della vita sana imposta per legge. Viviamo in un mondo nel quale potenti forze storiche sottopongono la libertà individuale a una pressione sempre più opprimente. Quattro gigantesche aziende planetarie egemonizzano, oramai, l’informazione, il commercio, le relazioni sociali, i consumi culturali. La libera sfera di vita dell’individuo è, oramai, quasi completamente annientata. Il Covid ha, poi, ulteriormente aggravato questa crisi epocale delle prerogative individuali, autorizzando gli Stati liberali a imporre restrizioni e obblighi che nemmeno le dittature avevano mai osato imporre. Chi progetta la cultura civica del prossimo futuro dovrebbe ridare centralità all’individuo, non sottrargliela. Già subiamo l’egemonia di Google, Zuckerberg e Bezos, ci manca pure che un anonimo assessore pretenda d’imporci il suo personale vademecum per una vita buona, sana e nutriente.
Infine, il terzo motivo della mia opposizione. Il più importante: non esiste un corpo sano, non esiste una vita immune (e, se pure esistesse, gli esseri umani si ribellerebbero a essa). Il Covid dovrebbe avercelo insegnato: l’animale-uomo è fragile, precario, vulnerabile, vale a dire che è per costituzione «malato». Si nasce, a caso, si fiorisce, brevemente, si sta gracili nell’esistenza, si esulta per un istante, ci si ammala, qualche volta si guarisce, poi, inesorabilmente, si muore. Qualunque storia — scriveva Hemingway — se la racconti sufficientemente a lungo, finisce con la morte. È questa essenza della condizione umana a rendere i vizi, gli eccessi, i piaceri peccaminosi una delle più alte manifestazioni di vitalità della nostra specie. Sono brevi momenti d’intensificazione vitale, piccoli carnevali quotidiani, istanti di oltranza nei quali l’individuo insorge dentro e contro il proprio destino di mortale.
Una politica della «buona vita» che non tenga conto di ciò, non avrà compreso niente della condizione umana. Io voglio la «città verde», sogno cieli puliti e foreste urbane, sono disposto a battermi e a tassarmi per esse, ma solo a patto di poter rimanere me stesso, un uomo libero con le sue (poche) virtù e i suoi (inestirpabili) vizi, sotto quei cieli e quelle fronde. In caso contrario, l’utopia ecologica diventerebbe un incubo orwelliano in salsa di soia (biologica, s’intende). Una cella dalle pareti green.
Annuncio, dunque, sin da ora, la mia disobbedienza. Fumerò, ovviamente, nel rispetto degli altri. Sempre evitando di infastidire il mio prossimo. Mi apparterò, ma fumerò. Da uomo libero nella mia città libera. Nella ferma convinzione che si tratterà di una disobbedienza civile.