Corriere della Sera, 24 gennaio 2021
A proposito del debito
Il voto pressoché unanime sullo scostamento di bilancio di 32 miliardi (il quinto) è stato commentato, ancora una volta, come una grande prova di responsabilità delle forze politiche. Quasi la dimostrazione che una grande coalizione, nell’interesse nazionale, sia un’ipotesi percorribile. Certo, non si poteva fare altrimenti. Sono fondi d’emergenza che servono a risarcire le categorie colpite dalle chiusure, finanziare la cassa integrazione e altro. Necessari. In totale, da quando è esplosa la pandemia, si sono approvati interventi anticrisi per 165 miliardi. Non sfugge, però, come sia relativamente facile raccogliere il consenso sulla crescita del deficit e del debito pubblico. Votare sì non comporta alcun coraggio politico. Non si scontenta nessuno. Colpisce l’insostenibile leggerezza con la quale, nella cultura politica (e non solo) del Paese, ci si indebita. Il vincolo di bilancio non c’è più – come è giusto – ma non per sempre. Nulla è più definitivo in Italia – scriveva Giuseppe Prezzolini – di ciò che è provvisorio. La tradizione sembra confermarsi. Se non fosse così ne discuteremmo con un’intensità almeno pari a quella che anima il dibattito sulla sopravvivenza del Conte 2 o sul destino di «responsabili» e nascenti «cespugli» di centro. Invece no, tutto va via liscio. Come se le risorse fossero inesauribili (allora, perché mai pagare le tasse?).
Un miliardo di euro di deficit, e dunque di debito, pesa politicamente molto meno che in passato. In parte è vero. Ma anche nell’era dei tassi d’interesse negativi – e della Bce che compra i nostri titoli pubblici – non scompare d’incanto. Quando Mario Draghi ha distinto il debito buono da quello cattivo (visto l’andazzo, avrebbe fatto meglio a non farlo) vi è stato un coro unanime di consensi. Finalmente. Ma, in un afflato di ipocrita solidarietà, ci si è ben guardati dal considerare una spesa, un bonus, un aiuto a chi non ne aveva bisogno, come qualcosa di cattivo o soltanto di inopportuno. «Ne arrivano 209 di miliardi, non andiamo tanto per il sottile». Con le morti per il Covid, le attività ferme a rischio di fallimento, i tanti disoccupati, mettersi poi a guardare dove finiscono i soldi è antipatico, insensibile, cinico. E invece no, perché ogni miliardo buttato oggi, è un aiuto in meno a chi ne ha veramente bisogno. Un investimento negato per le prossime generazioni che carichiamo di debiti, impoverendole. «Non sono sicuro di voler fare qualcosa per i posteri, del resto loro che cosa hanno fatto per me?». La frase è di Oscar Wilde. Oggi non fa sorridere. Ogni spreco non è solo debito cattivo, è pessimo. In questa fase drammatica della vita del Paese, anche delittuoso. Che cosa volete che sia – sostiene di fatto la maggioranza dei parlamentari – un risparmio di 300 milioni di euro l’anno in tassi d’interesse, aderendo al famigerato Mes, quando i nostri titoli vanno a ruba (grazie alla Bce, ma non per sempre) sul mercato? E ancora: perché scandalizzarci tanto per i 4,5 miliardi del cosiddetto cashback, che premia, indipendentemente dal reddito, chi spende con la carta di credito? Cento, centocinquanta euro di restituzione. «Proprio in questo momento. Ma era il caso?», si chiede il cittadino non colpito dalla crisi, un po’ più sensibile, mostrando perfino un filo d’imbarazzo. È passato pressoché inosservato che, con l’approvazione in Parlamento della legge di Bilancio 2021, i fondi per l’emergenza siano stati diminuiti di 3,8 miliardi. Uno è stato dirottato all’esonero contributivo per gli autonomi (e va bene); gli altri 2,8 miliardi sono finiti nei rivoli di tante micro richieste, magari giustificate ma non urgenti, spesso solo mance varie.
Nei suoi interventi alla Camera e al Senato, il premier ha gettato – finora senza un grande successo – una sorta di rete per la pesca a strascico di qualche parlamentare. La promessa implicita, un po’ brutale, è quella di posti e relativi vantaggi. Ogni voto in più è anche un centro di spesa che si aggiunge a una lunga lista. Ma, soprattutto, Conte ha parlato di una legge proporzionale più favorevole ai piccoli gruppi. Anni di battaglie referendarie sono finiti nel cestino della Storia. Gli alfieri del maggioritario scomparsi insieme ai paladini della «necessità di dire prima del voto con chi ci si allea». Volatilizzati. Il Pd ha abiurato alla sua «vocazione maggioritaria». Al di là dei difetti, di cui parlava ieri sul Corriere Angelo Panebianco, c’è un’ampia letteratura sulla relazione infausta tra il proporzionale e la crescita della spesa pubblica (cattiva). Secondo Torsten Persson, Gerard Roland e Guido Tabellini ( Electoral rules and government spending in parliamentary democracies, 2007 ), un passaggio da maggioritario a proporzionale puro aumenta nel medio periodo del 5 per cento la spesa pubblica.
Altri segnali. Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti in commissione al Parlamento europeo sulle regole che disciplineranno la distribuzione dei fondi del Recovery and Resilience Facility, lo strumento principale del Next Generation Eu. Matteo Salvini ha più volte detto che le condizioni imposte all’Italia mettono a repentaglio le pensioni e i risparmi italiani, per esempio con una patrimoniale. Nelle linee guida appena aggiornate dalla Commissione europea, che riprendono anche le ultime raccomandazioni ai vari Paesi, non c’è traccia di simili minacce. Le riforme (giustizia, pubblica amministrazione, fisco) sono irrinunciabili per tornare a crescere e a sostenere il debito. Se non si fanno è in pericolo la concessione di sussidi e prestiti, che andranno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026. Certo, se si proponesse adesso a Bruxelles quota 100, ci direbbero di no. E farebbero bene, visti i modesti risultati – accertati anche dalla Corte dei conti – sui posti liberati per i giovani (ogni due uscite meno di un ingresso) e l’enorme fardello di debito caricato sulle prossime generazioni. Salvini si lamenta poi che i prestiti europei, a tassi più convenienti di quelli che riusciremmo ad ottenere noi, debbano essere restituiti (entro il 2058). Perché gli altri, più costosi, nonostante l’aiuto della Bce, e con scadenze più ravvicinate, no? I risparmiatori italiani continuano fortunatamente e giustamente a sottoscrivere i titoli pubblici, credendo nella parola dello Stato, che mai è venuta meno. Un grazie anche per la loro infinita pazienza nel seguire le contorsioni del nostro dibattito pubblico.
P.s. Intanto venerdì la Grecia ci ha superato: si finanzia a condizioni migliori delle nostre.