la Repubblica, 24 gennaio 2021
Il caso dei dati sbagliati della Lombardia
È su un errore rosso che, denunciano i commercianti a loro è costato «almeno 600 milioni di euro» di danni, che si consuma lo scontro (non solo) politico tra la Regione Lombardia e il governo. Perché alla fine, una terra che tra confusione e rabbia questa mattina si sveglierà arancione, è rimasta per una settimana stretta tra regole più rigide che non sarebbero dovute scattare. E il punto è tutto lì: di chi è la colpa? Della Regione guidata dal leghista Attilio Fontana e dalla sua vice Letizia Moratti, che ha mandato dati fondamentali per calcolare l’ormai famoso indice Rt poi «rettificati», come è scritto nell’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza che ha allento le misure? O, come invece è arrivato ad accusare il governatore lombardo con un primo colpo di cannone mattutino, il problema sarebbe «nell’algoritmo dell’Istituto superiore di sanità»? Ecco che cosa è successo.
Della rissa politica, al mondo del commercio non sembra interessare. Ma, certo, è la richiesta di Confcommercio Lombardia, «chi ha sbagliato deve pagare e le imprese devono essere risarcite». E c’è persino qualche commerciante che, appoggiato dai sindaci dem di Bergamo, Giorgio Gori, e Varese, Davide Galimberti, minaccia di fare una class action contro quell’errore. Ma è dallo scontro istituzionale che bisogna partire. Fontana ribalta le accuse: «La Lombardia non ha mai sbagliato a dare i dati e non li ha mai rettificati». Loro hanno presentato ricorso al Tar contro la zona rossa e non solo non la ritireranno, ma impugneranno anche l’ordinanza di Speranza e i verbali di Comitato tecnico e scientifico e cabina di regia. E d’altronde, rincara Moratti, «Speranza pretendeva che dicessimo che c’era stato un errore nostro. Non potevamo accettarlo». È stata lei, rivendica, ad accorgersi che qualcosa non tornava: un Rt così alto (1,4) non era compatibile con un’incidenza di contagi ogni 100 mila abitanti al di sotto della media nazionale. Ma il ministro della Salute è netto: «La Regione, avendo trasmesso dati errati, ha successivamente rettificato i dati propedeutici al calcolo dell’Rt e questo ha consentito una nuova classificazione». Qui è «l’ammissione di questo errore» che riporta le 12 province lombarde in zona arancione.
Ripartiamo dai numeri. Quelli delle persone che hanno avuto i primi sintomi tra il 15 e il 30 dicembre passate da 14.180 a 4.918 in base al nuovo calcolo e che hanno fatto scendere l’Rt da 1,4 a 0,88. L’Istituto spiega di aver segnalato più volte «l’anomalia» nell’inserimento di dati alla base della sovrastima. E, appunto, «solo a seguito della rettifica del dato relativo alla data di inizio sintomi e dello stato clinico dei casi già segnalati, avvenuta con il caricamento dati del 20 gennaio, con una corretta identificazione dei casi asintomatici da parte di Regione Lombardia, su loro richiesta, sono state ricalcolate le stime di Rt realizzate la settimana precedente».
Il nodo è in una colonna dei dati, quella che dovrebbe segnalare il quadro clinico. Lo scrive anche il direttore generale della Lombardia Marco Trivell i in una mail inviata all’Iss alle 12,25 del 22 gennaio, che dimostra come qualcosa in realtà sia cambiato: «Tenuto conto dell’integrazione del flusso dei dati trasmesso mercoledì 20 rispetto a mercoledì 13, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e assessorato al Welfare relativa alla riqualificazione del campo clinico, si chiede la rivalutazione dell’indice Rt». La Regione sostiene, senza però fornire documenti ufficiali sui numeri di prima e dopo (devono essere depositati al Tar, la spiegazione) che i tecnici del ministero avrebbero chiesto «di inserire in un campo facoltativo nel flusso di registrazione dei contagi», che senza indicazione «rimane vuoto», un valore «convenzionale di stato sintomatico» in circa «il 3% dei record». Perché non se ne erano accorti prima?