Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 24 Domenica calendario

La Russia fa i conti con i diritti umani

L’ondata di proteste a favore dell’oppositore Aleksej Navalnyj che investe la Federazione russa è un serio campanello d’allarme per Vladimir Putin perché coniuga tre elementi: l’insoddisfazione popolare nei confronti del Cremlino, la popolarità del suo maggior rivale politico e l’inefficacia della raffica di arresti e aspre misure anti dissenso adottate da Mosca.L’insoddisfazione popolare nei confronti di Putin spiega l’estensione delle proteste in corso da Vladivostok alla città siberiana di Jakutsk, dove la temperatura è -50 gradi, dai confini con la Cina Popolare fino alla piazza Puskin della capitale.
Se migliaia di persone sono scese in piazza lungo un arco di 11 fusi orari è perché la richiesta di liberare Navalnyj è diventata il catalizzatore di un malessere più vasto, evidenziato da dieci anni di marce.
Nel 2011 e 2012 contro le irregolarità elettorali e la staffetta al potere fra Putin e Dmitrij Medvedev; nel 2017 dopo le rivelazioni sempre da parte di Navalnyj sulla corruzione esistente nel ristretto circolo di potere attorno al Cremlino; nel 2018 contro una riforma delle pensioni giudicata iniqua; nel 2019 contro l’esclusione dei maggiori candidati dell’opposizione alle elezioni municipali; nel 2020 contro l’arresto del popolare governatore della regione di Khabarovsk. Ovvero, proteste sociali ed economiche locali si sommano un po’ ovunque ad un malcontento nazionale contro l’ultra ventennale autocrazia di Putin creando una situazione di scontento ed instabilità che pandemia e crisi del lavoro hanno portato a livello di guardia.
Il ritorno di Aleksej Navalnyj in patria, dopo essere sopravvissuto ad un brutale tentativo di avvelenamento da parte degli 007 russi, si è dunque trasformato nel catalizzatore di questo scontento. E la decisione delle autorità russe di arrestarlo per 30 g iorni si è rivelata un formidabile autogol consentendogli di diventare all’istante il collante nazionale della mobilitazione, che ora chiede la sua scarcerazione. Navalnyj sta sfidando Putin con i suoi stessi mezzi ovvero trasforma il potere assoluto del Cremlino nella cartina tornasole della sua debolezza: tanto più l’oppositore riesce a mobilitare, tanto più il potere dell’autocrate mostra la sua vulnerabilità. Ed in una nazione come la Russia un leader debole è già sconfitto. Ciò che rende Navalnyj temibile per il Cremlino è il fatto di non avere paura, di andare avanti a testa alta contro l’avversario senza temere le conseguenze più terribili per sé è per la sua famiglia. C’è in questo un richiamo epico di Navalnyj all’eroismo del soldato russo, capace di ogni prova contro il nemico più potente al fine di difendere la sua madreterra. In una nazione immersa nella storia come la Russia il sacrificio estremo a cui Navalnyj si espone tornando volontariamente dall’estero evoca gesta rivoluzionarie e trasforma Putin nell’icona di un potere in declino.
Anche perché nel momento del rientro lancia sul Web e sui social una videoinchiesta sui lussi del “nuovo zar” in cui mostra a un popolo in crisi per il Covid e per la recessione, le spese folli per una “reggia personale”. Ma non è tutto, perché ciò che rende ancor più evidente la difficoltà del Cremlino è l’inefficacia delle misure anti dissenso varate negli ultimi anni. Le restrizioni alla libertà di espressione, all’uso di Internet e alle attività dei gruppi per i diritti Lgbt come di altre associazioni di opposizione nascono dalla scelta del 2012 di obbligare ogni Ong straniera a registrarsi come “agente di un governo estero” se raccoglie fondi oltre confine e conduce “attività politica”. Tanto per fare un esempio tale legge ha consentito di far chiudere “Agorà”, una delle maggiori associazioni per i diritti umani in Russia.
Leggere assieme tali e tanti fatti porta a comprendere perché mentre negli ultimi anni il tema dei diritti umani in Russia veniva accantonato dalle democrazie occidentali, dentro i suoi confini i cittadini si muovevano in direzione inversa. Come Navalnyj, 44 anni, ha dimostrato di sapere assai bene.
E ora Putin si trova davanti ad un bivio che neanche un brillante stratega come lui aveva previsto: può gettare Navalnyj in una cella buia a tempo indeterminato, contribuendo a far crescere a dismisura la sua popolarità, o restituirgli subito la libertà ed affrontare la sfida politica conseguente. Comunque vada, il disegno di Putin di regnare in tranquillità sulla Russia più a lungo di Iosif Stalin per poterla guidare fin dentro il XXI secolo deve lasciare il campo ad una stagione di incertezza che non risparmia neanche i saloni dorati del Cremlino. Per un leader come Putin che ha passato gli ultimi anni a teorizzare e realizzare il sostegno a movimenti populisti e sovranisti in Occidente, al fine di indebolire Nato e Ue dal di dentro, si tratta di uno scomodo risveglio: i diritti umani restano il suo più formidabile avversario.