Il Post, 24 gennaio 2021
Ultime sul mondo dell’editoria
Vivendi, la multinazionale francese che ha partecipazioni in aziende media di generi molto diversi (in Italia se ne parla soprattutto per il suo rapporto conflittuale con Fininvest in Mediaset, e per la sua maggioranza in Tim) ha comunicato venerdì di avere acquisito il 7,6% dell’azienda editoriale spagnola Prisa, che tra le altre testate pubblica El Pais, il più venduto quotidiano del paese. Ma ha anche una quota del 20% nella società che possiede il quotidiano Le Monde in Francia. Come dice Le Figaro: “Se qualcuno ne dubitasse ancora, può smettere. Vivendi ha decisamente intenzione di crescere nella stampa e nell’editoria”.
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Il settimanale americano New Yorker ha restituito un premio ricevuto per un suo articolo di tre anni fa su una storia che nelle scorse settimane si era rivelata in parte inventata: alcune fonti – ha detto il giornale – hanno mentito e ingannato l’autore e la redazione addetta alle verifiche. La storia era questa, come raccontata allora sul Post:"In Giappone esistono delle agenzie che offrono dei servizi di noleggio di finti familiari: si possono noleggiare una moglie e una figlia con cui cenare a casa ogni sera se si è un uomo che soffre di solitudine, un padre per il proprio figlio che subisce forme di bullismo se si è una madre single o, più comunemente, finti genitori, finti fratelli o amici per un matrimonio. Un lungo reportage della scrittrice Elif Batuman sull’ultimo numero del New Yorker ha raccontato diverse storie sulle famiglie in affitto, sulle ragioni di una pratica che può sembrare strana e sulle difficoltà che nascono quando si paga qualcuno per fingere di volerci bene”.Il New Yorker ha spiegato che la storia generale resta fondata e “il fenomeno delle agenzie di parenti in affitto” è documentato, ma che ampie parti dell’articolo non sono più credibili.La storia era stata ripresa anche da altre testate italiane: Ansa aveva a sua volta intervistato una delle fonti che il New Yorker ha ora smentito (e finora non sembra avere preso in considerazione analoghe verifiche). Il Post provvederà domenica ad aggiornare il suo articolo del 2018 con le correzioni e gli avvisi necessari.
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L’introduzione del cosiddetto “diritto all’oblio” nelle pratiche dei quotidiani è stata una cosa rivoluzionaria: benché la sua regolamentazione sia rimasta giustamente vaga e affidata molto alla discrezione dei giornali, è entrato nell’ordine di idee dell’informazione che le persone citate negli articoli possano avere accettabili ragioni per chiedere che il loro nome sia rimosso (e soprattutto non rintracciabile dalle ricerche su Google), trascorso un certo tempo e considerando il rilievo della notizia e della citazione. Le ragioni delle richieste però entrano in conflitto con la condivisa e celebrata necessità di “difendere la memoria” delle cose e del passato, oltre che con l’importanza documentale di un patrimonio di informazioni sul passato così vasto e dettagliato come quello dei giornali. Giornali che quindi si muovono con cautela e scelte diverse a seconda dei casi e dei contesti, e faticano a codificare delle regole assolute: è un terreno molto vario e accidentato.Questa settimana il quotidiano Boston Globe – il più importante di Boston, quello del film Spotlight – ha annunciato la creazione di un servizio che prenda in considerazione i casi in cui un “breve e non significativo articolo del Globe influisca sul futuro delle persone coinvolte, con l’impressione che – conoscendo il sistema giudiziario – questo abbia in passato avuto effetti sproporzionati sulle persone di colore”. Ma “metteremo l’asticella molto alta per i personaggi pubblici o per i crimini maggiori” ha detto il direttore del digitale del giornale. Le soluzioni prospettate – da decidere caso per caso – sono la rimozione di passaggi, l’anonimizzazione dei protagonisti, la deindicizzazione degli articoli dai motori di ricerca. Come dice lo stesso articolo del Globe, il tema “solleva questioni delicate per i giornali, che si sono sempre ritenuti i responsabili delle prime bozze di scrittura della Storia”.
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Per ora è ufficialmente solo un semplice annuncio di prepensionamento: Pigi Battista, columnist e commentatore di cospicua fama anche televisiva, ha annunciato domenica scorsa che lascerà il Corriere sella Sera dove scriveva da sedici anni. La comunicazione diventerà un pezzo della storia raccontata nelle settimane scorse se si confermerà – se ne parla da qualche tempo – che inizierà a scrivere per qualche testata del gruppo GEDI, opponendosi così alla più ricca tendenza di questi mesi di trasferimenti in direzione contraria.
(dalla newsletter domenicale Charlie)