La Stampa, 23 gennaio 2021
Intervista a Carla Fracci
La Eleonora Duse della danza. Così l’hanno definita per le sue doti drammatiche. Ma è solo un aspetto della personalità artistica di Carla Fracci, icona della danza italiana, spirito battagliero, origini proletarie: il padre era tramviere. Una grande Giulietta, una grande Giselle, insieme a tutte le principali eroine del balletto che ha interpretato nella sua lunga carriera. Ha ballato con i più grandi, da Nureyev a Baryshnikov. Moderna incarnazione della ballerina romantica è stata anche una coinvolgente tragédienne. Duse, appunto: proprio per le sue qualità attoriali fu chiamata a interpretare Giuseppina Strepponi, moglie di Verdi in una fiction tv.
Oggi a 85 anni, li compie il 20 agosto, Carlina, come la chiamano nell’ambiente, dopo molto tempo di assenza torna alla Scala, il teatro dove è nata e a lungo ha raccolto allori, compresa una nomina alla direzione del ballo, subito lasciata con polemiche. Da allora non è praticamente più comparsa sulla scena scaligera, in una lunga carriera in cui è stata anche direttrice del ballo all’Opera di Roma. Non dobbiamo dimenticare i nostri tesori artistici, sono un bene da tenere vivo, come insegnano i francesi. È proprio un francese, Manuel Legris, il nuovo direttore del ballo del teatro milanese, già étoile dell’Opéra di Parigi, che ha voluto la Fracci in Scala. La danzatrice è infatti coinvolta in alcune iniziative (compresa una masterclass) intorno a Giselle, il balletto che andrà in onda il 30 gennaio alle 20 su Rai5, primo balletto di una stagione tutta on line.
Cosa pensa di questo ritorno?
«È una grande occasione, una bella gratificazione. Mi ha fatto molto piacere l’invito di Manuel Legris. È una personalità davvero notevole».
Alla Scala ha iniziato, perché qualcuno la vide ballare con suo papà, si racconta.
«È andata proprio così. Ho frequentato la scuola della Scala su consiglio di una signora che mi vide ballare al dopolavoro tramviario con mio padre. "Questa bambina ha molta musicalità" disse. Allora la scuola era gratuita, altrimenti i miei non avrebbero potuto permetterselo. Così mi presentai. Mi misero fra le candidate da rivedere perché avevo un "bel faccino" dissero. Poi fui accettata. E pensare che papà mi chiamava "gambe di sedano"».
Da «candidata da rivedere» a Eleonora Duse della danza. A chi deve questa definizione?
«Fu Clive Barnes il critico del New York Times a titolare così una recensione dopo una mia Giselle a New York».
Giselle fa parte del suo bagaglio più intimo.
«L’ho danzata credo in tutte le parti del mondo, dal Giappone al Sudafrica e anche nel cortile del castello del Valentino a Torino. Questa produzione della Scala è un allestimento dall’originale di Coralli e Perrot realizzato dall’étoile francese Yvette Chauviré , indimenticabile in questo ruolo».
Ha potuto conoscerla?
«La Chauviré è stata il mio punto di riferimento per tutta la carriera. Ho avuto l’onore di danzare con lei davvero molti anni fa al Festival di Nervi. Misero in scena il Pas de quatre, un gioiello del romanticismo francese che riunì le più grandi stelle di allora, comprese Maria Taglioni e Carlotta Grisi. Il brano era stato rimontato dall’inglese Anton Dolin che lo propose a Mario Porcile direttore del Festival. Dolin e Porcile mi chiesero di partecipare».
Con quanti danzatori ha fatto coppia in Giselle?
«I miei Albrecht sono stati Erik Bruhn, Rudolf Nureyev , Vladimir Vasiliev, Gheorghe Ianku, e molti altri».
Ha ballato anche con Baryshnikov. Due russi, Rudy e Misha, così diversi.
«Entrambi infinitamente innamorati della danza. Potevano sembrare stravaganti, soprattutto Nureyev, invece due esempi di dedizione di altissimo livello. Ho pensato a Nureyev quando ho iniziato la masterclass in Scala. Si dice che non avesse un bel carattere. Che fosse irascibile. Era molto competitivo e metteva a dura prova la ballerina. La sua energia era pazzesca, ma anche la sua generosità. Tutto si risolveva nel lavoro ben fatto. Anche con Baryshnikov abbiamo fatto coppia spesso, dal festival di Spoleto all’American Ballet Theatre, quando fu direttore. Fu una serata speciale a New York: Spectre de la rose e una creazione, Medea musica di Samuel Barber e coreografia di John Butler. La critica ebbe molto da dire sull’accostamento di due titoli così diversi».
A proposito di Giselle c’è un video con lei e Erik Bruhn che ormai è storia.
«Ce ne sono molti. L’altra sera me li sono riguardati. A volte mi arrivano delle registrazioni: ammiratori che mi hanno filmato in questa o quella occasione. Cose amatoriali di cui ignoravo l’esistenza».
Su cosa si concentrerà pr la sua masterclass?
«Ci sono due Giselle, Martina Arduino e Nicoletta Manni, protagoniste una del primo, l’altra del secondo atto. Lavoriamo sulla scena della pazzia per il primo, per il secondo su diversi momenti solistici».
Fracci e la tv. Ci sono vecchie registrazioni in cui danza con Heather Parisi. È importante portare la danza in tv come fa Roberto Bolle?
«Tv e internet sono mezzi che non si possono ignorare. Anzi. Ma attenzione a quale danza si porta in tv. Perché la danza continui a vivere e non sia solo memoria lo Stato deve sostenere iniziative legate alla danza professionale».
Come sta il balletto in Italia ?
« È un momento in cui occorre rimboccarsi le maniche e rimettersi a lavorare, c’è una specie di abbandono. E non solo per la tragedia del Covid. Fa sperare l’arrivo di Legris, persona stimata e d’altissimo livello: la danza è un tesoro da conservare con grande affetto».