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 2021  gennaio 23 Sabato calendario

Il rilancio della maison Schiaparelli

«Dio benedica l’America, e Lady Gaga». Il texano Daniel Roseberry, da quasi due anni direttore creativo di Schiaparelli, commenta con notevole patriottismo l’operazione a cui ha lavorato in gran segreto negli ultimi mesi. È opera sua infatti lo scenografico abito blu e rosso, decorato da una gigantesca colomba d’oro, che la cantante ha indossato mercoledì scorso per intonare l’inno statunitense al giuramento di Joe Biden. Una creazione perfettamente in linea con la maison, visto che nel 1954 la sua leggendaria fondatrice, Elsa Schiaparelli, scriveva nella sua autobiografia, Shocking Life :«In tempi difficili, la moda dovrebbe essere straordinaria». La frase negli ultimi tempi è diventata il mantra dei creativi, e le immagini di Lady Gaga sul palco sono diventate subito tra le più condivise e significative della cerimonia. Missione compiuta.
«La moda non è essenziale alla sopravvivenza del genere umano, e men che meno lo è la haute couture», rifletteva nei giorni scorsi Roseberry in una video-chiamata dalla sede della maison, oggi parte del Gruppo Della Valle, in Place Vendôme. «Nei mesi passati mi sono reso conto che nessuno di noi designer aveva chiaro quale sarebbe stato il nostro ruolo in questa nuova realtà, ma ora lo so: la gente vuole essere distratta. Un abito d’alta moda può illuminare la giornata di chi lo guarda, e avere la possibilità di farlo è un onore». Trentaquattro anni, alla sua prima esperienza come direttore creativo, Roseberry è uno stilista “vecchia scuola”: per lui tutto parte dal bozzetto, un’abitudine condivisa da pochi suoi contemporanei. L’ammirazione che nutre per Elsa, italiana ma francese d’adozione, è sconfinata. «L’universo che ha creato con la sua estetica è molto più vasto di quello dei suoi contemporanei, da Chanel in poi. Nessuno sapeva osare come lei, fondendo moda e arte in un tutt’uno». Il riferimento a Coco Chanel non è casuale: le due creatrici avevano una visione agli opposti, e tra loro non correva buon sangue. La francese, sprezzante, definiva Elsa “quell’artista italiana che fa abiti”; solo che quello che lei vedeva come un imperdonabile difetto, cioè il contaminare la funzionalità con l’immaginazione, per altri era motivo di venerazione. «Prima di Elsa la couture era delicata, discreta, sommessa. La sua invece era un ciclone dall’impatto visivo straordinario, che non lasciava indifferenti.Certo, non posso rifare tutto come allora: gran parte degli elementi surrealisti del suo lavoro (Elsa collaborò spesso con Salvador Dalí, ndr ), oggi sarebbero datati. Ma il linguaggio è lo stesso».
Dunque, anche per Roseberry lo scopo è prima di tutto meravigliare, che si tratti dell’alta moda o della collezione prêt-à-porter, mai prodotta dalla maison prima di lui. «A differenza del passato, oggi la couture è riservata agli eventi speciali; il prêt-à-porter nasce per coprire le esigenze del quotidiano. Ma sia chiaro, l’intento è comunque di lasciare il segno. Mi spiego: se tu esci con un mio cappotto nero con i bordi decorati da un metro da sarta, e nessuno ti ferma per chiederti dove lo hai comprato, allora non ho fatto bene il mio lavoro». Secondo lui, catturare l’attenzione del pubblico con un abito è un po’ come fare musica. «Le canzoni pop per funzionare devono avere un motivo che acchiappa e resta in mente. Così la moda. Se non ti prende, non ha senso».
Tornando sulla situazione attuale, una cosa a Roseberry manca davvero: la sfilata dal vivo. «Io i vestiti li creo per il movimento, li penso sulla passerella, immagino l’effetto che faranno. Detto questo, non mi lamento: siamo già fortunati a poter comunque presentare il nostro lavoro, fosse pure per vie digitali». Per ora però, bocca serrata sulla collezione di haute couture che andrà in scena – metaforicamente – a Parigi fra due giorni. «Posso dire che è in linea con il percorso che ho compiuto fino a oggi: sarà un ulteriore tassello nella conversazione tra la Schiaparelli delle origini e la versione che ho avuto il privilegio di costruire. Sono uno stilista fortunato».