Corriere della Sera, 23 gennaio 2021
Poesia civile, qualcuno ancora ci crede
Nel confronto tra il mercoledì americano e il martedì italiano, tante cose si potrebbero segnalare. Da una parte la retorica solenne di un Paese che cerca di rinascere nel nome dell’unità e dell’orgoglio nazionale dopo aver sfiorato l’abisso; dall’altra il dibattito mediocre di un Paese che cerca di non morire. Da una parte un sogno in una realtà anche ostile; dall’altra la speranza che passi la nottata, all’insegna delle divisioni, delle invidie, dei dispetti e del piccolo protagonismo. Se a Roma l’ex giovane rottamatore si definiva «patriota» per aver azzoppato il governo nella fase più delicata per il Paese, a Washington il patriottismo parlava con la voce di Amanda Gorman. La ventiduenne poetessa afroamericana, nominata qualche anno fa National Youth Poet Laureate, è stata chiamata a comporre e a leggere una sua opera in versi che invitasse all’unità e alla riconciliazione. È quella che si chiama poesia civile ed è tradizione che ogni nuovo presidente americano si affidi anche a un poeta nell’Inauguration Day: è stata Jill Biden, la futura first lady, a consigliare Gorman, avendo ascoltato di recente una sua lettura. A sentirlo con attenzione, il poemetto The Hill We Climb non si sottrae a qualche ingenuità. Ma niente di male, la poesia civile, anche quella di Petrarca e di Pascoli e di Pasolini, spesso pigia sul pedale dell’enfasi per suscitare l’emozione collettiva. Pazienza. Quel che conta è la fiducia che un Paese ha nei suoi poeti e non solo nelle sue celeberrime popstar. In questo caso, per di più, nelle parole di una giovanissima donna. Resta da ricordare che l’ultimo poeta che ha messo piede a Palazzo Madama deve essere stato l’ottantenne Eugenio Montale, e non risulta che abbia mai letto un solo verso in una cerimonia ufficiale. Eppure, è stato un grande poeta civile. Ne abbiamo avuti e probabilmente ne abbiamo. Ma qualcuno osa pensare che servano a qualcosa?