Il Sole 24 Ore, 23 gennaio 2021
Eurostar al crac per il Covid e la Brexit
Agli imbarchi dei treni veloci, nella stazione di St. Pancras a Londra, la serpentina di transenne è vuota. Nell’immenso scalo ferroviario, un’intera sala è dedicata alle partenze internazionali. Da qui gli Eurostar vanno a Parigi, nella disprezzata Europa da cui i britannici sono scappati. L’intera zona è desolata: nessuno ai banconi biglietteria; nessuno alle macchinette automatiche. Lo sportello dell’accoglienza clienti ha la scritta «Welcome», ma non ci sono passeggeri a cui dare il benvenuto.
Fino all’anno scorso, qui c’era la fila continua alle transenne. Bisognava arrivare almeno un’ora prima per essere sicuri di imbarcarsi. Ora il tabellone è spaventosamente vuoto: la mattina del 22 gennaio risulta un solo treno per Parigi, alle 12.01. Mancano 10 minuti alla partenza dell’unico Eurostar e solo cinque passeggeri si stanno per imbarcare, attorniati da decine di addetti con la mostrina Eurostar. Quando un’azienda ha più dipendenti che clienti, c’è un problema. Il problema è che nessuno viaggia più: traffico crollato del 95%, azzerato. Solo 69mila passeggeri nel 2020 contro gli 11 milioni del 2019.
Prima da St. Pancras partivano più di 50 treni al giorno alla volta dell’Europa. Al binario, prima di salire a bordo, centinaia di uomini d’affari si concedevano una sosta all’Oyster Bar, che serviva ostriche e champagne, rigorosamente francesi. Tutta la stazione, la più bella di Londra – un castello di mattoni rossi, volta in acciaio, e pure un albergo 5 stelle sopra i binari – oggi è deserta. Sotto la doppia tegola della variante inglese del Covid (con il Paese chiuso e in auto-isolamento) e della burocrazia di Brexit (occorre il passaporto), l’Eurostar agonizza: rischia la chiusura.
Lo scorso autunno gli azionisti, le ferrovie di stato francesi Sncf e il fondo pensione canadese Cdpq, hanno versato 200 milioni di euro nelle casse dei treni veloci. Polverizzati in pochi mesi. Per evitare il fallimento, Eurostar ha bussato alle porte di Francia e Uk, implorando un salvataggio pubblico.
Il dissesto dell’Eurostar si porta dietro anche il tunnel sotto la Manica, che fa capo alla società parigina Getlink. I treni francesi pagano un pedaggio per passare nella galleria sotto al mare e in più versano 17 euro per ogni passeggero. Gli incassi da Eurostar, per l’ex Eurotunnel, valgono da soli il 30% di tutti i ricavi: dei 900 milioni di ricavi, 300 arrivano dai treni veloci. Le scosse telluriche dell’Eurostar arrivano fino a Ponzano Veneto, alle porte di Treviso. La famiglia Benetton è azionista del tunnel: nel 2018, Atlantia comprò il 15% di Getlink. La società, quotata alla Borsa di Parigi, vive di pedaggi: ma se Eurostar fallisce, addio introiti.
La Francia si prepara ad andare in soccorso dei suoi treni, ma ha bisogno che anche il Regno Unito partecipi. La porta di Sua Maestà tuttavia resterà chiusa: Eurostar non è una concessione del Governo, ma è una tratta a mercato. Vuol dire che chiunque può entrare e gestirla. Ma soprattutto significa che non ha diritto a ristori. Mentre la Francia rischia il default dei suoi Eurostar, l’Italia è al riparo: Avanti, il “Frecciarossa” inglese di Trenitalia tra Londra a Glasgow, sta beneficiando dell’ombrello economico del Governo inglese.
La questione giuridica è però solo una foglia di fico. La verità è che sugli Eurostar si gioca un braccio di ferro politico: prima di Natale, il presidente francese Emmanuel Macron bloccò il porto di Calais, gettando il Regno Unito nel caos. Ora, nessuna sterlina dei contribuenti inglesi andrà a salvare i treni degli odiati francesi. Peraltro, la Gran Bretagna ha staccato la spina alla compagnia anni fa: nel 2015 l’allora premier David Cameron vendette il 40% degli Eurostar, con un incasso per il Governo di 700 milioni. Fu sommerso dalle polemiche. Col senno di poi, invece, un tempismo diabolico.