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 2021  gennaio 23 Sabato calendario

Debito pre Covid solo tra 10 anni

Le più aggiornate stime del ministero dell’Economia, comprensive degli effetti dell’ultimo scostamento di bilancio da 32 miliardi, certificano che il debito pubblico potrà tornare «poco sopra il livello del 2019» (vale a direi attorno al 135% del Pil) non prima del 2031.

Un decennio, dunque, per riassorbire l’incremento esponenziale registrato nel 2020 a causa della pandemia. Si parte dal 157% del Pil (un punto in meno rispetto alla Nota di aggiornamento del Def), lo stesso livello atteso quest’anno, quando invece si stimava una leggera discesa al 155,6 per cento. È l’inevitabile conseguenza del combinato di una crescita del prodotto più contenuta rispetto  al “rimbalzo” del 6% stimato solo qualche mese fa (5,1% nel profilo tendenziale), e dell’incremento del deficit. Nella nuova previsione (di cui darà conto ad aprile il nuovo Def) si va verso l’8,8% in rapporto al Pil, dunque 1,8% punti percentuali in più rispetto al 7% indicato in precedenza. La tabella di marcia del Mef prevede che nel 2022 e 2023 si possa conseguire una riduzione del debito pari a circa 2 punti percentuali annui, e poi lentamente verso la situazione pre-Covid. Un livello – vale la pena di ricordarlo – che comunque era ritenuto allora da Bruxelles (e dai mercati) non in linea con il percorso di riduzione concordato. In un passato poi non così lontano (era l’autunno del 2018) il governo Conte 1, allora a trazione Lega-M5S, ha evitato solo in extremis l’apertura di una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo motivata appunto dalla violazione della “regola del debito”. Poi la pandemia ha modificato radicalmente lo scenario, la Commissione Ue ha attivato per la prima volta la “General escape clause” del Patto di stabilità, sospendendo i vincoli della disciplina di bilancio europea. 
La lettera che il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri ha inviato due giorni fa al vice presidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis e al commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni punta ad assicurare che l’aumento del deficit sarà temporaneo. Resta il problema, che pesa come un macigno sulle prospettive della nostra economia da qui ai prossimi decenni, di rendere il più possibile sostenibile un debito di tale entità. Ben si comprendono le preoccupazioni che emergono a Bruxelles, ma anche a Francoforte sugli sviluppi della crisi politica apertasi con l’uscita di Italia Viva dal governo. Se l’unica strada per garantire la sostenibilità del debito è spingere al massimo sul pedale della crescita attraverso robusti e credibili piani di riforme e investimenti (è la scommessa e la sfida del Recovery Plan), occorrono solide convergenze politiche, programmatiche e numeriche all’interno della maggioranza e in Parlamento. Per ora il tema dell’incremento del debito non compare tra le priorità del dibattito politico. Si fa affidamento sul “bazooka” della Bce, che con le decisioni assunte in dicembre ha elevato a 1.850 miliardi il totale degli interventi di politica monetaria a sostegno degli Stati membri. Attenzione però. Emerge con chiarezza all’interno del board della Bce che quel programma straordinario non può essere in alcun modo utilizzato, o perfino percepito, come un sostegno indiretto a crisi politiche di singoli paesi. Quando si tornerà alla normalità, auspicabilmente già dalla metà del prossimo anno, il combinato di una politica monetaria non più così “espansiva”, il ritorno (se pur con mutata veste e all’insegna della flessibilità) dei vincoli di bilancio europei, la stringente necessità di finanziare sul mercato a tassi auspicabilmente contenuti un debito di tale portata riproporranno con assoluta urgenza la necessità di renderne più stringente il percorso di riduzione. La sfida è far ripartire l’economia non più al ritmo di irrisori incrementi annui.
Tre punti di incremento del  Pil da qui al 2026, come  prevede l’ultima bozza del Recovery Plan (se riusciremo a onorare gli impegni) sono il minimo indispensabile per ripartire.