Avvenire, 23 gennaio 2021
Gli 80 anni di Giovanni Galeone
L’ironia, l’ntelligenza acuta senza mai essere pedante, la profondità del pensiero, l’indulgenza verso i piccoli vezzi e vizi delle centinaia di calciatori che ha allenato, spendendosi sempre molto, offrendo un’idea forte di calcio – la zona come filosofia di vita, il 4-3-3 da indossare per provare ad essere felici – concedendo alla gioventù che ha allevato tutta la libertà di questo mondo, dentro il piccolo grande mondo del pallone che ha attraversato con quell’aria da cowboy di frontiera. Giovanni Galeone lunedì 25 gennaio fa 80 anni. Nel nostro calcio Galeone è stato anomalia, bellezza sparsa gratis, schiena dritta, parole mai banali. Ribelle fin da adolescente al microcosmo di estrazione borghese e liberale che respirava in famiglia, figlio di un ingegnere dell’Ilva, nato e cresciuto a Napoli, ma friulano dentro: a Udine (1966-1974) le cose migliori di una dignitosa carriera da calciatore (aveva discreta tecnica, correva come il tedesco Netzer) e il primo incarico da allenatore nelle giovanili del club, a Pordenone (1975) il debutto ufficiale in panchina, ancora con l’Udinese il passo d’addio, nel gennaio del 2007. Trentadue anni di domeniche passate seduto, a veder le sue squadre giocare. Divertendosi, sì. E provando a divertire, portatore sano di una controcultura calcistica che trova in Liedholm – a pallone si «joca», il resto è fuffa – il suo modello di riferimento. Dodici squadre allenate, quattro promozioni in Serie A, una manciata di esoneri. Dategli una città di mare e vi solleverà il mondo. A Pescara le stagioni luminose nella “Belle Epoque” con i cannolicchi, il calcio-spettacolo, il confronto-scontri culturale con Sacchi, c’erano Pagano che volava sulla fascia e Junior che dirigeva l’orchestra a centrocampo, c’era che si vinceva a San Siro al debutto in campionato, 2-0 contro l’Inter del Trap, pallonetto di Galvani e rigore dello slavo Sliskovic, il “Maradona dei Balcani”, grande fumatore e insigne bevitore, veloce di lingua e di piede, uno che se solo avesse voluto, bè, ma non ha voluto. Uomo curioso, il Gale, detto il “Profeta”, affascinante, uno che suda carisma anche se sta zitto, grande lettore, da Brecht a Camus, amico di Gianni Mura che di lui ha scritto «aveva un’idea di base: la pura difesa significa sconfitta certa, quindi tanto vale attaccare». Finto indolente, probabilmente edonista, Galeone ha sempre avuto un gran successo con le donne: il viso segnato, il ciuffo arruffato, i pensieri spettinati dal maestrale. E in tasca il pacchetto stropicciato di Marlboro rosse. Il suo figlioccio è Max Allegri, che allenò a Pescara: rapporto strettissimo tra i due, fu da Galeone che Allegri andò a rifugiarsi/confidarsi in Sardegna quando a pochi giorni dal matrimonio scelse di non andare all’altare. Ma ha allenato – per dirne due – anche Gasperini e Giampaolo.
Il calcio di oggi lo smonta con l’ironia, lo ribalta azzerando il «bla bla bla» dei tanti profeti a cottimo, lo guarda con disincanto, come si osserva il mare da lontano, che tira un vento da scansarsi.