Avvenire, 23 gennaio 2021
QQAN20 L’amicizia tra Dossi e Lombroso
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Oggi sull’aggettivo ’lombrosiano’ incombe inevitabilmente una venatura di ironia o quanto meno di scetticismo: quasi fosse veramente possibile dedurre dall’aspetto fisico di una persona il suo carattere o che certi tratti somatici rivelino una presunta degenerazione morale. Eppure Cesare Lombroso (1835-1909) è stato un autorevole scienziato, fondatore dell’antropologia criminale. La tesi che esistesse una precisa relazione fra i caratteri somatici e l’inclinazione alla delinquenza verrà presto superata, ma Lombroso è stato comunque tra i primi a confutare ’scientificamente’ l’idea che il comportamento criminale abbia un’unica causa, vale a dire quella morale. Da qui un’importante conseguenza giuridica, che si colloca nella scia delle conquiste del pensiero illuminista (da Cesare Beccaria a Pietro Verri): poiché, secondo lo studioso, le origini della devianza sono sociali o genetiche, la pena detentiva non deve essere un castigo da scontare, bensì uno strumento per proteggere la società e allo stesso tempo rieducare il colpevole.
Non deve quindi stupire che uno scrittore sensibile e attento alle dinamiche sociali come Carlo Dossi si sia interessato alle ricerche di Lombroso e abbia pensato di entrare in contatto con lui. Dossi (1849-1910) appartiene alla Scapigliatura milanese, ma rispetto alle vite ’maledette’ di altri suo colleghi, come Igino Ugo Tarchetti o Emilio Praga, trascorre un’esistenza più tranquilla. Di famiglia nobile, dopo la laurea in Legge, intraprende la carriera diplomatica che gli consente di vivere agiatamente, frequentando la buona società.In genere la critica ha evidenziato come tratto peculiare della sua opera lo sperimentalismo stilistico, che si attua mediante un’ardita mescolanza lessicale. Le sue innovazioni formali si accompagnano però a una forte dose di insofferenza, nei confronti del suo tempo. Suoi bersagli polemici sono la società borghese, le sue istituzioni, i suoi schematismi, le sue ipocrisie ed è in questo che è pienamente scapigliato. L’unica possibilità di fuga da un mondo soffocante è individuata in un atteggiamento irriverente e iconoclasta, che sa farsi beffe dei riti e delle convenzioni sociali. In tal senso l’ironia, l’umorismo, il sarcasmo, il grottesco sono armi utilissime, insieme con un atteggiamento di distacco intellettuale che è sintomo di libertà interiore.
Ora un bel saggio di Maria Antonietta Grignani e Paolo Mazzarello indaga il rapporto tra questi due personaggi straordinari: Ombre nella mente. Lombroso e lo scapigliato (Bollati Boringhieri, pp. 176, euro 15). Ricco di anettoti, curiosità e documenti inediti mette in luce l’originalità di Lombroso e ricostruisce le relazioni tra lo scienziato e lo scrittore. Inizialmente è Dossi a contattare Lombroso, per esprimergli ammirazione. Il rapporto epistolare nasce dopo l’uscita della prima edizione dell’opera fondamentale di Lombroso, L’uomo delinquente, 1876. Lombroso non esita a rispondere al giovane scrittore, che diventa presto una sorta di collaboratore dello scienziato, inviandogli una serie di testi letterari incentrati sulla pazzia, materiali che verranno utilizzati per le ricerche di Lombroso. Ma presto Dossi fa di più: interpella Lombroso in quanto medico, chiedendogli aiuto e consigli in merito alle proprie precarie condizioni di salute, in particolare per le sofferenze psichiche che egli vive in prima persona. Dossi crede infatti ciecamente in Lombroso e nelle sue teorie. L’influsso delle idee lombrosiane è evidente nell’opera I mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuele II( 1884), scritta in seguito all’indizione, nel 1882, di un concorso pubblico per il progetto di un monumento alla memoria di Vittorio Emanuele II. Non vinse nessuno (in un concorso successivo verrà scelto il progetto di Giuseppe Sacconi, sulla base del quale verrà eretto il Vittoriano o Altare della patria). Il titolo ’I mattoidi’ è chiaramente provocatorio: Dossi si riferisce a quei «pazzi» che hanno presentato al governo italiano idee così «malsane» da mettere insieme un’autentica «galleria degli orrori». Nell’ultima parte del saggio di Grignani e Mazzarello (storica della lingua italiana la prima, storico della medicina il secondo), si dà conto della deriva spiritualistica di Lombroso negli ultimi anni di vita. Il Positivismo – con la pretesa di spiegare tutto attraverso la ragione, la scienza, il metodo sperimentale – aveva segnato il passo di fronte alle inquietudini della modernità, e alle esigenze più profonde dell’essere umano. Lombroso si interessa sempre più assiduamente all’ipnotismo e allo spiritismo. Studia, con colleghi psichiatri napoletani, le sedute spiritiche della sensitiva Eusapia Paladino. Inizia a credere che in certe condizioni la materia raggiunga «lo stato radiante». Scrive: «Tutto porta all’ipotesi che l’anima risulti di una materia radiante, probabilmente immortale, certo resistente a molte centinaia d’anni».
Gli ultimi anni di Dossi sono invece segnati da frustrazioni in campo professionale (aveva abbandonato la letteratura per dedicarsi totalmente alla carriera diplomatica, che però non gli risparmia cocenti delusioni) e da vari acciacchi fisici. Lombroso muore nel 1909, Dossi l’anno successivo. «A circa un anno di distanza», scrivono Grignani e Mazzarello, «terminarono così le loro vite due personaggi destinati a segnare, con alterne vicende e fortune, la cultura scientifica e letteraria italiana negli anni a venire».