ItaliaOggi, 23 gennaio 2021
Orsi & tori
Lo conosco da quando era bambino, è uno dei figli di Gabriele Capolino, che dirige assieme a me Class Editori, e ora me lo trovo laureato a pieni voti al MIT di Boston. Dopo ha subito ricevuto la borsa di studio per il Master. Finito il Master ha ricevuto più di 15 offerte di lavoro dalle più innovative aziende di tutto il mondo. Ha scelto di accettare quella di Domino Data Lab, una giovane società californiana di data science platform, che annovera tra i suoi clienti molte delle più importanti banche e industrie mondiali, da Bayer a Dell, da Allstate a Bnp Paribas, a Zurich. Quanti sono i giovani italiani che hanno avuto l’opportunità e la forza di fare un percorso durissimo come studiare al MIT ed essere così Aristocrazie 2.0. Meno, meno, molto meno di quelli di altri Paesi sviluppati, in primo luogo perché in Italia la percentuale dei laureati è una delle più basse dei Paesi sviluppati e il confronto non è certo con la Corea del Sud, dove si laureano il 70% dei giovani in età di farlo.Il concetto di Aristocrazie o Élite 2.0, anche se sono parole delicate con le implicazioni sociali che comportano, lo sta lanciando uno dei migliori consulenti italiani, Roger Abravanel, che dal 28 gennaio è in libreria proprio con un nuovo saggio che porta lo stesso titolo. Abravanel solleva temi e problematiche fondamentali per il presente e il futuro dell’Italia sintetizzati in questa sua nota, che per chiarezza e incisività sia utile che nostri lettori, sicuramente élite, conoscano in attesa di leggere il libro. Dice Abravanel:
«Oggi tutti sono molto preoccupati per l’impatto economico della pandemia e sulla velocità della ripresa, ma per l’economia italiana la vera preoccupazione è che rischia di non riprendersi affatto come è avvenuto dopo l’ultima crisi del 2008. Questo perché da quasi mezzo secolo è incapace di sfruttare le grandi trasformazioni economiche, prima da industriale a post-industriale e poi alla cosiddetta economia della conoscenza che è fatta di innovazione digitale e scienze della vita finanziaria avanzata. In 30 anni ha perso l’equivalente del reddito del Portogallo e della Grecia messi assieme. L’economia della conoscenza sarà accelerata dalla pandemia, pensiamo all’e-commerce e questa accelerazione può essere fatale per il nostro Paese.
È qui che entra in gioco il titolo del libro Aristocrazie 2.0. Nel secolo scorso si è sviluppata la meritocrazia e milioni di giovani si sono impegnati nell’educazione superiore per migliorare il loro status economico e sociale. L’economia della conoscenza di questo nuovo secolo ha fatto esplodere il premio per questa nuova élite. Gli uomini più ricchi degli Stati Uniti hanno studiato nell’università delle Ivy League ed è così che sono nate le critiche nel mondo anglosassone a una nuova aristocrazia dell’istruzione e del talento, che oltre a essere iper ricca favorisce in mille modi i figli nell’accedere alle migliori università.
Eppure, se la meritocrazia ha fallito nelle pari opportunità, ha creato milioni di buone opportunità per i giovani che emulando le élite investivano nella migliore istruzione e facevano carriera nelle grandi imprese. Ciò è avvenuto in Occidente e avviene sempre più in Asia, dove la selezione sulla migliore istruzione sta diventando il motore dello sviluppo. In Corea il 70% dei giovani sono laureati e hanno un reddito due/tre volte quello dei loro genitori.
Da noi invece la meritocrazia non è mai davvero decollata. Siamo il fanalino di coda in numero di laureati, siamo tra i paesi con più donne nei cda ma pochissime donne nel top management. Sono mancati i valori della vera meritocrazia, l’eccellenza, la competizione e l’ambizione, ma soprattutto sono mancati gli incentivi per il talento e l’istruzione. Il motivo è che l’economia è rimasta nelle mani della vecchia aristocrazia, un ecosistema capitalista responsabile dell’ecatombe delle grandi imprese industriali, della vendita di quelle del made in Italy e di un crescente digital gap in quelle che rimangono. Le nostre università si sono chiamate fuori dalla competizione globale del sapere e le migliori languono nelle classifiche globali.
Infine, abbiamo una burocrazia che strangola lo sviluppo non per colpa dei troppi fannulloni ma della paralisi decisionale provocata da una sfiducia nello Stato e un timore della corruzione che non hanno eguali in Occidente e che hanno portato a un potere giudiziario totalmente autoreferenziale. Per saltare sul treno dell’economia della conoscenza abbiamo bisogno proprio dell’aristocrazia 2.0. Nel saggio spiego che da noi è possibile e racconto storie di aristocratici 2.0 italiani che stanno già cambiando l’economia del Paese. Per rafforzarli dobbiamo far nascere un nuovo capitalismo rifiutando lo statalismo di ritorno post-pandemia e portando in migliori capitali privati della Borsa e del private equity nelle aziende migliori. Dobbiamo anche fare nascere un sistema universitario meritocratico che ricerchi l’eccellenza globale e infine bisogna dare maggiori pesi e contrappesi alla magistratura che la renda più responsabile nei confronti del Paese rendendo così più efficiente la burocrazia.
Io con questo saggio mi rivolgo ai giovani italiani che cercheranno di emulare gli aristocratici 2.0 ricercando la migliore istruzione e carriera all’interno di grandi aziende per migliorare la propria qualità di vita e salvare il Paese dal post pandemia».
In non molte righe, un vero e proprio programma che starebbe benissimo come premessa per il Next generation plan che solo venerdì 22 è stato portato a conoscenza dei ceti produttivi, sindacati e imprenditori, finalmente convocati a Palazzo Chigi dal presidente Giuseppe Conte.
Sì, signor presidente Conte. Se le legga e si legga il libro, se è ancora in tempo. Abravanel fa la diagnosi e la cura sui veri problemi dell’Italia. E non si limita a enunciarli, perché con poche parole appunto evidenza i mali e indica i rimedi.
Prima di tutto l’Istruzione. Non è proprio assoluto che in Italia manchino università qualificate. C’è la Bocconi, c’è il Politecnico di Milano e Torino, anche la Cattolica e la Luiss. Ma certo anche gli italiani migliori del passato e del presente sono passati da università internazionali e in particolare americane, che da dopo la guerra hanno il primato. Un esempio per tutti, che sono numerosi: Mario Draghi, dopo aver studiato a Roma con il grande economista Federico Caffè, per fare un salto è andato a Boston per specializzarsi, al MIT, con il premio Nobel Franco Modigliani.
Quindi è una questione di livello delle molte università ma anche, se non soprattutto, di una più ridotta base di selezione visto il basso numero di laureati e quindi, mentre spuntano alcuni studenti eccellentissimi, non c’è una folta schiera di eccellenti come succederebbe se il numero base fosse più alto e se fossero di più le università eccellenti italiane.
Ma dal lato critico esiste il fatto che per frequentare le grandi università straniere occorre pagare rette molto alte, che solo i ricchi possono permettersi. Per questo, sul piano sociale, The Economist, che non è certo un giornale di sinistra, in una famosa copertina evidenziò che era nata una nuova aristocrazia e del talento, basata sulla possibilità di pagare rette che arrivano e superano i 70 mila dollari l’anno, costo deciso per due motivi, visto che le università americane sono private, per incassare di più e in un certo senso contenere l’iscrizione di studenti asiatici, che ormai sono maggioranza. In Italia, vivaddio, le università sono in larga maggioranza statali, quindi aperte a tutti, ma inevitabilmente risentono anch’esse dell’altro difetto capitale del paese, cioè della Burocrazia inefficiente.
E l’analisi di Abravanel è lucidissima. Non sono i fannulloni, che pure ci sono, ma la paralisi decisionale provocata da una sfiducia nello Stato e nella paura di corruzione. Terzo fattore: la Magistratura, con il potere giudiziario assolutamente referenziale.
Ultimo nodo: lo scarso peso della Borsa e di altre fonti di capitale che non siano le banche. Un punto, anche questo come sugli altri, su cui questo giornale si trova perfettamente d’accordo, avendo annoiato i lettori raffrontandolo con la constatazione che più di mille miliardi del risparmio degli italiani, il più alto del mondo con quello giapponese, è investito in asset esteri. Non è per caso che da alcuni anni MF-Milano Finanza e Class Cnbc organizzano la settimana Milano Capitali. Come potrebbe marciare un’auto senza benzina (o senza, sempre di più, le batterie cariche)? Allo stesso modo, un’economia senza capitali non può svilupparsi.
Quanto c’è di tutto questo nel Next generation plan, definizione assai più efficace di quella più comune di Recovery fund? Appena qualcosa. E allora, anche il tempo sta per scadere, Istruzione, Burocrazia, Magistratura, Borsa e altri canali di finanziamento non bancario dovrebbero essere pilastri fondamentali del Next generation plan con i soldi dell’Europa e dell’Italia, insieme all’altro pilone fondamentale, che è la Sanità.
Caro Roger, manda subito una copia al presidente Conte. Con il testo seguente, che ci hai mandato, a mo’ di dedica: «... Con la convinzione che per rilanciare il Paese, bisogna innanzitutto avere una diagnosi chiara del perché (ben prima del Covid) la sua economia e la sua leadership culturale arrancavano, e, sulla base di questa, sviluppare un progetto preciso per ridargli slancio». Il progetto dell’aristocrazia e dell’élite 2.0, ma non nel senso discriminatorio che queste due parole nel linguaggio populista sicuramente provocano. Bensì ritornando all’etimologia del termine greco aristos, che vuol dire «ottimo, coraggiosissimo, il migliore, il più coraggioso».
Ecco, ci vuole qualità e coraggio.
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Una semplice ma lunga equazione nel triste spettacolo della politica italiana, una ingenua considerazione che credo sia nella consapevolezza di molti. Che differenza c’è fra queste realtà: 1) le dichiarazioni gridate sino alla fine del governo sovranista da parte dei 5Stelle: mai con il Pd; 2) le dichiarazioni meno gridate, ma nette, del Pd: mai con chi ha un’anima populista e sovranisti come i 5Stelle; 3) le dichiarazioni di Matteo Renzi, fino a pochi giorni fa, anche se sfumate: mai ancora a un governo con presidente Conte; 4) le dichiarazioni dei 5Stelle, mai con i voltagabbana, opportunisti e chi viene espulso dal partito (ops, Movimento) non vi rientrerà mai; e del pari le dichiarazione dei fuoriusciti che mai rientreremo; 5) non le dichiarazioni ma i fatti, ovvero il riprendere gli ex fuoriusciti, come il comandante Gregorio Di Falco, per ottenere una risicata maggioranza relativa al Senato; e la decisione di Di Falco di rivotare con i 5Stelle; 6) le dichiarazioni morali sugli Scilipoti da parte, a turno nella storia parlamentare di tutti i partiti e movimenti; 7) le dichiarazione forti, ripetute, del presidente Conte, dei 5Stelle e del Pd: mai più con Renzi; 8) le dichiarazioni di Renzi: siamo disposti a discutere per tornare al governo...
Risultato dell’equazione: ma per favore, fatela finita. Dopo appena poco più di un anno di governo, Pd e 5Stelle avete rinnegato voi stessi e per iniziativa di Renzi avete fatto un governo che va dalla sinistra estrema di Roberto Speranza (peraltro il più ragionevole e moderato di tutti) al centro, appena a sinistra di Italia Viva. In un cartone animato fareste tutti la parte dei buffoni. Quel governo paradossale lo avevate fatto, c’è stata una lite che in politica è meno di rimangiarsi (avete tutti fatto una grande indigestione) affermazioni categoriche: mai, mai, mai... Possibile che non vi ricordiate che la politica è anche l’arte del possibile? E invece di fare questo tira e molla, questa sceneggiata indegna, Pd e 5Stelle rimangiatevi anche il mai verso Renzi, e Renzi si faccia accompagnare un’altra volta da Maria Elena Boschi dal professor Conte, e stringetevi la mano. Il fare il governo a quattro è il male minore per l’Italia, in questo momento. Lo capite o no? Pensate che dicendo tutti quanti dei nuovi, mai, mai, la gente vi stimi di più? Sicuramente, nella sua correttezza, il presidente Sergio Mattarella non pensa che questa sia la soluzione più seria? Pentirsi non è peccato e quando il presidente Mattarella dice che ci vuole una maggioranza solida, quale altro può essere quella, per i numeri e per le idee vista l’evoluzione positiva di Luigi Di Maio, che con quanto dice ogni giorno potrebbe candidarsi alla guida della Dc, se esistesse ancora. Fatela finita, se non volete fare, veramente, la fine dei buffoni.