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 2021  gennaio 23 Sabato calendario

In morte di Gianfranco Lombardi

Il basket italiano piange Gianfranco Lombardi, uno dei suoi personaggi più popolari e istrionici prima in campo, come talento precoce e grande interprete, e poi in panchina, come stratega e uomo delle otto promozioni, di cui 5 in Serie A, con tante squadre che hanno riempito la sua carriera (nel weekend un minuto di silenzio sui campi). Lombardi, il Dado o Dadone per la sua imponente mole, se n’è andato in silenzio l’altra notte nella sua abitazione di Cocquio Trevisago, sul lago di Varese, dove si era ritirato con la moglie Maria Pia, scomparsa anni prima. Aveva scelto l’oblìo e l’esilio volontario dopo tante stagioni da protagonista. Solo qualche telefonata agli amici per ricordare i vecchi tempi, l’ultima, domenica scorsa, al suo allievo prediletto, Max Menetti, coach di Treviso. Avrebbe compiuto 80 anni tra due mesi. Dadone è stato una leggenda anche se da giocatore non ha vinto titoli, ma ha segnato un’epoca come bandiera della Virtus Bologna per 12 stagioni.
Oratorio e Olimpiade
A Livorno, la sua città, lo conoscevano tutti quando già a 10 anni giocava sulla terra battuta dell’oratorio salesiano del quartiere Salviano, vicino all’ospedale. Veniva da una famiglia umile, in casa era una lotta per assicurarsi l’ultima aringa in tavola. Lui ricordava che proprio lì aveva sviluppato il tagliafuori. La sua prima squadra è stata la Juvenilia, antesignana del Don Bosco, poi venne Livorno che non era né la Libertas né la Portuale. A 15 anni era in Serie A e a 17, convinto da Vittorio Tracuzzi, seguì l’ex c.t. azzurro alla Virtus Bologna, la tappa più importante della sua vita cestistica. A 19 in Nazionale, eroe dei Giochi di Roma, rifilò 23 punti in faccia a Oscar Robertson, la star della squadra Usa. In quegli anni accese una rivalità con Paolo Vittori, stella di Varese, diventando un personaggio mediatico. Quando l’avvocato Porelli, appena diventato proprietario della Virtus, lo cedette alla Fortitudo tra i tifosi bianconeri scoppiò una mezza rivoluzione ma quei soldi servirono per evitare il crac: «Ho salvato la Virtus due volte – amava dire – prima quando sono arrivato e poi quando l’ho lasciata».
Il contrappasso
«Ho esordito in Nazionale con lui capitano – lo ricorda commosso Charlie Recalcati -. Era il 1967 e il Dado mi prese sotto la sua ala protettiva. Si dedicò alla mia matricola in una partita evitando di tirare per lasciare che segnassi io. Abbiamo fatto insieme il Mondiale di Montevideo e l’Olimpiade di Messico. È stato un grande giocatore, talento e mani sopraffine, e da allenatore ha portato nel basket la legge del contrappasso: da attaccante si trasformò in difensore». Aveva battute clamorose, un giorno richiamando un suo giocatore in panchina gli gridò “ventisette”. Quello non capì e gli chiese spiegazioni, lui serafico rispose: «Passeranno 27 anni prima che rivedrai il campo con me». Rieti, Forlì, Trieste, Treviso, Rimini, Reggio Emilia, Siena, Verona, Cantù, Varese e Napoli le tappe del suo viaggio fatto di 725 panchine in A, sempre in prima fila, amato o detestato, mai indifferente. Nel finale è stato commentatore tv e dirigente dell’amata Virtus, un ritorno amaro che però non ha oscurato la sua fama. Ieri ha chiamato l’ultimo time out.