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 2021  gennaio 22 Venerdì calendario

Ma che mu’ maestro – Montale, il suono delle parole

Ironico ma cortese, convinto che “se la musica c’è, è già nelle parole”, e con qualche rimpianto per non essere riuscito a essere un cantante d’opera e un pittore. C’è tutto Eugenio Montale (1896-1981) nelle due lettere inedite del 1977 che la rivista Autografo, fondata da Maria Corti e sotto la direzione scientifica dell’Università di Pavia, propone nel suo sessantaquattresimo numero (Interlinea Edizioni, pagg. 192, euro 20). Con le corrispondenze viene pubblicato inoltre un ritratto a china del poeta, altrettanto inedito, che fu eseguito nel 1924 dallo scultore Guido Galletti, autore, tra l’altro, della statua del Cristo degli Abissi di San Fruttuoso di Camogli.
Il disegno di Galletti, di cui, su Autografo, si occupa Giovanni Battista Boccardo, restituisce il volto di un Montale giovane, che nel 1925 avrebbe dato alle stampe Ossi di seppia per le edizioni di Piero Gobetti. Le corrispondenze appartengono a un uomo anziano, colmo di ricordi, che scrive: “Non sono pittore né disegnatore e il poco che ho fatto appartiene alla mia preistoria”. Furono inviate al germanista, musicologo e traduttore Gio Batta Bucciol già docente all’Università di Tubinga. Conservate presso l’archivio “Carte del Contemporaneo” al Centro interuniversitario di studi veneti di Venezia, le due lettere erano state redatte dal premio Nobel per la letteratura in risposta alla richiesta di Bucciol di acconsentire che una sua poesia, Cigola la carrucola del pozzo (da Ossi di seppia), fosse musicata.
Il professore voleva inserire i versi del poeta ligure in una miscellanea dedicata al filologo romanzo Gerhard Rohlf, in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno. Come spiega Elena Santagata in Due lettere di Eugenio Montale su musica e poesia, il saggio che introduce gli inediti, la raccolta doveva comprendere “un gran numero di testi poetici, antichi e moderni, di lingua romanza, musicati da musicisti contemporanei”. Il poeta non rifiutò il suo assenso, il testo fu musicato. Seppure l’incipit della prima lettera, del 21 novembre ’77, “farebbe presumere un educato rifiuto da parte di Montale alla proposta di Bucciol. Montale afferma, infatti, di non avere interesse per il genere liederistico”. E soprattutto perché, afferma, “per conto mio se la musica c’è, è già nelle parole: se non c’è, si possono cambiare le parole come si è fatto in tanti capolavori (operistici)”.
La proposta di musicare Cigola la carrucola del pozzo gli sembrò poco convincente anche perché era già stato coinvolto, in modo negativo, in un tentativo del genere. Nella lettera a Bucciol racconta che un “‘ottimo e sconosciuto’ compositore aveva già musicato la sua Casa dei doganieri e ‘il risultato fu disastroso’. Il compositore in questione è Mario Simonelli, medico e musicista per passione, che nel 1975 aveva pubblicato una partitura per canto e pianoforte della Casa dei doganieri”. Ma “può darsi”, osserva Montale, “che per cigola la carrucola tutto sia diverso. Ora però come faccio a legare il pozzo bretone coi due risorti che vennero dall’aldilà per ripagare quel tanto di ammirazione che io cantante fallito ebbi per loro? Veda Lei se in questa lettera c’è una sola riga che possa essere presentata agli studenti di Tubinga”.
Che cosa voleva dire con quei richiami al “pozzo bretone” e ai “due risorti”? Elena Santagata rammenta che “Bucciol aveva deciso di tradurre lui stesso un racconto della Farfalla di Dinard. Scelse In chiave di Fa, che Montale aveva dedicato al proprio maestro di musica, Ernesto Sivori, e a una sua allieva “molto dotata”, la signorina Poiret. Bucciol inoltre aveva chiesto a Montale se fosse stato disposto, eventualmente, ad ampliare i ricordi del suo apprendistato musicale, contenuti in In chiave di Fa. A suo parere, Montale aveva capito che gli si chiedesse di unire (…) la traduzione di In chiave di Fa a Cigola la carrucola…”. Da “questo fraintendimento dipenderebbe l’enigmaticità di quella domanda a sé stesso contenuta nella lettera”.
Forse il “pozzo bretone” non è quello di Cigola la carrucola, ma un “richiamo a La casa delle due palme, sempre nella Farfalla di Dinard. In questo racconto Montale adopera un’immagine metaforica già usata negli Ossi: la memoria è un ‘pozzo’ (…) nel quale sono seppelliti i ricordi”. Si potrebbe ipotizzare, allora, “che, alla richiesta di ricostruire il proprio passato di studi musicali, Montale rispondesse perifrasticamente dicendo di non poter ricollegare (‘legare’) la propria memoria (il ‘pozzo bretone’, bretone perché relativo a ricordi contenuti nella Farfalla di Dinard, la cui genesi e ambientazione sono, in parte, bretoni) a quel passato in cui i due risorti”, due cantanti lirici rievocati in In chiave di Fa, “erano ritornati dal mondo dei morti per ripagare la sua ammirazione nei loro confronti”.