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 2021  gennaio 22 Venerdì calendario

Biografia di Lorenzo Cesa

C’è un’aria di pericolo scampato nei silenzi di Pd e M5S riguardo all’inchiesta su Lorenzo Cesa. Il retropensiero è evidente. Se i loro desideri si fossero realizzati, se la trattativa coi centristi fosse «andata meglio» il segretario dell’Udc avrebbe potuto essere, oggi, colonna portante della maggioranza. Il suo simbolo – scudocrociato e vele al vento – figurerebbe come prima pietra del progetto politico di Giuseppe Conte. Uno dei suoi senatori, forse addirittura lui, risulterebbe ministro dell’Agricoltura designato. Una catastrofe sfiorata.
Lorenzo Cesa è un po’ l’emblema del mondo politico che i tempi nuovi volevano cancellare. È il confuso mini-mondo post democristiano nel quale si intrecciano, in un’orgia di sigle dimenticate, quasi tutti i protagonisti della caccia ai responsabili 2020: non solo Cesa, ma anche Bruno Tabacci, Paola Binetti, Clemente Mastella. Un po’ prodiani, molto berlusconiani, talvolta renziani, potenzialmente contiani, co-fondatori a getto continuo di terze o quarte gambe – Api, Idea, Popolari per l’Italia, Ncd, Area Popolare, Democrazia solidale, Noi con l’Italia, ma ce ne sono altre dozzine – sono i superstiti di una marcia nel deserto durata quasi trent’anni.
Trattarli come paria è facile ma poco rispondente alla realtà: per sopravvivere in un arco temporale così lungo si devono avere spalle larghissime e una furbizia fuori dal comune. Cesa l’aveva senz’altro, anche se di recente era rimasto fuori dal Parlamento per accidenti imprevedibili. Nel 2018 aveva perso il seggio di Nola, posizione ultrasicura, per l’inaspettato l’exploit del M5S (fu battuto di 10 punti dalla grillina Silvana Nappi). Nel 2019, alle Europee, dove si corre a preferenza, mancò l’elezione nelle liste di Silvio Berlusconi per il soffio di cinquemila voti, che nell’enorme Circoscrizione Sud sono una briciola.
Guardandola da questa prospettiva – l’unica che conti in politica: la rielezione – si capisce l’ansia del segretario Udc di coltivare buoni uffici sul territorio anche a costo di infilarsi in situazioni ambigue. È la stessa di tutti i sopravvissuti all’era Dc. Il tesoretto delle preferenze di collegio, città, provincia, la relazione con i professionisti dei pacchetti preferenziali, sono la principale merce di scambio che possiedono, l’unico motivo per cui i grandi partiti se li tengono vicini. Perché il voto di opinione magari guida i sentimenti collettivi del Paese, ma quando si deve eleggere un sindaco, un governatore, un deputato in quota proporzionale, sono i luogotenenti del consenso organizzato quelli che possono fare la differenza.
Con quel tipo di dinamiche Cesa ha confidenza fin da piccolo. Il suo primo incarico politico, secondo Wikipedia, fu nella Commissione Tesseramento della Dc siciliana, a fine anni ’80, e si può solo immaginare cosa significasse esercitare quella mansione nel partito di Salvo Lima e Vito Ciancimino, per di più messo in un angolo dalla "primavera" di Leoluca Orlando. Gran parte dei problemi giudiziari che hanno puntellato la sua carriera forse arrivano proprio da lì, dal ruolo designato di sottufficiale nella gestione di equilibri di potere dominati da altri.
Finì nei guai (e pure in galera) per una storia di tangenti destinate all’entourage del ministro Giovanni Prandini. Poi per una truffa all’Ue che coinvolse il capo della segreteria politica di Franco Frattini. E negli anni ’90 fu tra gli indagati per i finanziamenti opachi della giunta capitolina di Franco Carraro. Ne è sempre uscito bene, o almeno benino, evitando lo stigma dell’impresentabile grazie all’abilità di tenersi dietro le quinte e al basso profilo (ironia della sorte: così è stata battezzata l’inchiesta calabrese) della sua presenza politica. Lo stesso stile che, nel 2014, gli aveva consentito di riprendersi il partito a sorpresa, per soli sette voti, battendo nel congresso chi voleva punirlo per il miserrimo 1,7% raccattato alle urne la primavera precedente. Sei anni dopo, l’entrata in maggioranza, nella "maggioranza dell’honestà", avrebbe potuto segnare per Cesa e i suoi una definitiva revergination nonché il ritorno al potere dopo tante tribolazioni di minoranza. E chissà quanto è pentito di aver temporeggiato sulla scelta fatale: l’unico a cui sarebbe «andata meglio», probabilmente, è lui.