Corriere della Sera, 22 gennaio 2021
Intervista a Francesca Michielin
Uno è quello che ha portato il rap nel pop; l’altro è il fratello maggiore della nuova generazione indie. L’Instagram del primo macina milioni di like a ritmo di glamour; quello dell’altro è fatto da scatti di montagne aspre e meditazioni yoga. Uno è Fedez. L’altro è Vasco Brondi. Il punto in comune è Francesca Michielin. Assieme al rapper torna a Sanremo con «Chiamami per nome». Con il cantautore duetta in «Cattive stelle», brano da oggi su tutte le piattaforme. Ed entrambi finiranno nella nuova versione del suo album «Feat» che già conteneva l’arco costituzionale della musica italiana.
Non esistono due artisti più lontani di loro: come li tiene insieme?
«Le persone si soffermano sul genere, anche se queste distinzioni sono ormai in disuso. Con loro ho condiviso tanta musica... In pubblico con Federico con brani come “Magnifico” e “Cigno nero” che hanno aperto un percorso innovativo; in privato con Vasco merende filosofiche, idee, poesie, libri...».
In cosa si assomigliano?
«Hanno in comune l’attitudine. Fanno solo le cose che amano, quasi una forma politica di fare musica. In un’epoca bulimica in cui tutti pubblicano canzoni ogni pochi mesi, loro si prendono due anni fra un progetto e l’altro per viaggiare, fare un figlio...»
Perché cattive stelle?
«Vasco è capace di poeticizzare la dimensione urbana e allo stesso tempo di raccontare la natura come qualcosa di esterno, che non è né buono né cattivo. Quella frase vuole dire che per fare qualcosa di buono non devi essere nato sotto una buona stella».
Non crede nel destino?
«Ci credevo. Ero una ragazzina chiusa, ho iniziato quasi per caso a fare questo lavoro e quindi pensavo fosse il mio destino. Mi immaginavo che avrei dovuto fare certe cose entro un dato momento, altrimenti meglio lasciare perché non è destino. Adesso credo che esistano solo le cose che ti fanno stare bene e quelle che ti fanno stare male: se una ti piace, devi impegnarti».
Secondo Festival. C’era stata 5 anni fa con «Nessun grado di separazione»...
«Fu un’esperienza fondamentale, avevo 20 anni. Questa volta è comunque una novità, vista la coppia».
Cosa si aspetta?
«Sanremo è un’opportunità più che una vetrina e ci vado per dire qualcosa di memorabile. Non volevo la canzone d’amore scontata, da coppia, ma qualcosa per far sentire le persone abbracciate».
Il suo consiglio per il debutto di Fedez?
«L’ho avvisato che mi aggrapperò a lui durante la discesa delle scale. Nel 2016 c’erano solo tre gradini, ma l’anno scorso per il duetto con Levante e Maria Antonietta era altissima: sono arrivata senza fiato».
Non è un consiglio, è una richiesta di aiuto...
«Gli ho detto che dobbiamo pensare ad abitarci. Quando hai paura devi avere fiducia in te stesso»
L’Ariston fa paura anche ai più navigati. E se la pandemia obbligasse a una platea vuota?
«La priorità è la sicurezza e bisogna accettare le norme. In tutti i festival ti trovi davanti un pubblico che non è il tuo, ma ti arriva un’energia inspiegabile. Mi commuovo ancora se penso a quando nel 2015 feci “Il mio canto libero”: visualizzai quell’onda e piansi».
Ha un solo televoto...
«Tifo Orietta Berti, mito di mia nonna. A “Che tempo che fa” regalava i suoi biscotti agli altri ospiti. Li ho portati a casa e sono ancora sigillati nella camera dove nonna tiene tutti i miei ricordi musicali».