Il Messaggero, 21 gennaio 2021
L’America vista da Joe R. Lansdale. Intervista
Joe R. Lansdale, il grande narratore texano di In fondo alla palude, incarna l’espressione più riuscita del sogno americano e della cultura popolare d’oltreoceano. Nato in una famiglia molto povera negli Stati Uniti degli Anni Cinquanta, ha conosciuto e poi raccontato nella sua vasta produzione letteraria, non riducibile ai noir e alla serie di Hap e Leonard, fino all’ultimo romanzo Una cadillac rosso fuoco (Einaudi) il razzismo, l’emarginazione, la violenza senza dimenticare la forza della solidarietà nella propria terra. Nel giorno dell’insediamento del presidente Joe Biden, Lansdale riflette da Nacogdoches, la cittadina del Texas orientale nella quale vive, sulla crisi attraversata dal Paese e sulle prospettive con il consueto spirito critico senza mai celare l’orgoglio dell’appartenenza americana.
Gli Stati Uniti sono pronti a voltare pagina?
«La ferita dell’assalto a Capitol Hill non è mortale, ma il leone deve guardarsi dal parassita. La democrazia resiste e continua a funzionare. L’attacco, che mirava a sovvertire l’esito delle presidenziali, non ha affondato la nazione. Abbiamo un nuovo Presidente, che ha vinto onestamente le elezioni, e dobbiamo mettere alle spalle quattro anni laceranti».
Biden vincerà al centro la sfida della riconciliazione?
«Ho riposto la mia fiducia in lui e la ripongo anche in Kamala Harris che avrà un ruolo più rilevante di quello previsto per il vicepresidente. Sono tante le speranze e promesse di cambiamento da non disattendere in un paese diviso. Dovrà disinnescare l’estremismo. Il governo è l’arte del compromesso. L’America può ritrovare il proprio spirito liberale».
Quali certezze ha maturato sulla sovversione del 6 gennaio a Washington?
«Ero convinto che sarebbe accaduto qualcosa del genere, perché la tensione è stata alimentata per mesi. Non me lo aspettavo però nel cuore della Capitale. La dinamica lo fa assomigliare a un evento permesso dall’interno».
Che cosa suscita l’idea del nemico interno?
«Dopo gli attentati dell’Undici settembre temevamo minacce esterne. Ora il terrorismo domestico è la sfida più difficile. Gli Stati Uniti devono fare i conti con sé stessi».
È rimasto sorpreso dai circa 74 milioni di voti ottenuti da Trump?
«Sì, ma ricordiamo che Biden l’ha distaccato per otto milioni. Bisognerà modernizzare il sistema elettorale, dando più forza al voto popolare. Trump è riuscito a convincere con il linguaggio della paura ancora l’elettorato soprattutto tra i bianchi, e parte delle minoranze. La responsabilità di canali d’informazione come Fox è stata decisiva nella propagazione dei suoi messaggi falsi sul voto e non solo».
Che cosa accade quando si smette di credere nelle istituzioni?
«In pochi conoscono il vero senso della Costituzione, che viene disattesa e mistificata. È stato creato un mondo alieno ai fatti nel quale le persone vivono senza la conoscenza e sono assuefatte alle cospirazioni. È maturata la convinzione che ci sia sempre altro da sapere, rispetto a ciò che dicono le istituzioni e i media».
Spesso viene evocata l’espressione cuore di tenebra per raccontare l’America profonda. Esiste davvero?
«In qualche modo sì, ma si abusa della definizione. La gran parte degli americani sono onesti lavoratori con una mentalità aperta e positiva verso la vita. Il cuore dell’America non è corrotto. Alcune arterie devono però essere liberate dalle ostruzioni con una migliore educazione, la capacità di discernere le bugie, e cose stupide come QAnon, dalla verità».
Come descriverebbe il Texas?
«Intanto non è uno Stato del tutto conservatore. Il mio Texas, che definirei uno stato mentale, è una zona con boschi a perdita d’occhio, fiumi, laghi. È una foresta avventurosa».
Come valuta l’evoluzione del movimento Black Lives Matter?
«Credo nell’uguaglianza e ammiro il suo intento, tuttavia gli obiettivi per cui si mobilita sono diventati un po’ confusi. La condizione è migliorata rispetto a quando ero bambino in una società che trasudava ed era immersa nel sangue del razzismo, ma la strada per la sua sconfitta è ancora lunga».
Ora qual è il senso del patriottismo americano?
«Significa mantenere la fede in una nazione che non discrimina».
Qual è la radice del Sogno americano?
«Non si tratta di diventare ricchi come molti ormai lo intendono. È l’opportunità, non la promessa, di un buon lavoro per prendersi cura della propria famiglia, avere un tetto sopra la testa, il cibo in tavola e poi una pensione. Tutto il resto eccede».
È un sogno solidale?
«Richiede la fatica, non è un dono, ma tra i suoi presupposti c’è il sostegno a chi resta indietro anche se per propria responsabilità. Nel suo spirito più alto l’America significa anche compassione, e non può più permettersi di rinchiudere i bambini migranti nelle gabbie».