il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2021
La condanna dei Ciontoli è un inferno quotidiano
Perché intervistare Antonio Ciontoli?
Questa è la domanda che continua a circolare da giorni, dopo l’annuncio della mia intervista all’ex sottufficiale della Marina che la notte del 17 maggio 2015 ha sparato a Marco Vannini, provocandone la morte.
La risposta non ha nulla a che fare col desiderio di riscrivere un processo. Credo che le numerose udienze abbiano raccontato a sufficienza i fatti e che Franca Leosini, un anno fa, abbia ripercorso, proprio assieme a Ciontoli, con asciutta lucidità, tutti i passaggi più complessi di quella notte. Ciò che ho voluto raccontare in questa intervista (che è la seconda, per Antonio Ciontoli, in sei anni) è l’osceno processo parallelo che si è svolto fuori dalle aule di tribunale, in quel mostruoso tritacarne mediatico in cui la verità diventa troppo banale per essere raccontata così com’è. Troppo noiosa per poter essere masticata in 100 puntate costruite su ipotesi e complotti immaginari, con testimoni capaci di dire qualunque cosa, perfino “una tizia sui 30 anni incontrata in treno per caso ci ha detto che Ciontoli quella sera non era in casa” (come accaduto in un programma tv). Dei Ciontoli, in tv e sui giornali, in questi anni si è detto di tutto. Che sono mostri, che devono “marcire in carcere”, che bisognerebbe ripristinare la pena capitale, con opinionisti che urlavano con la bava alla bocca, accusando a turno Antonio, Federico e Martina Ciontoli di aver sparato, cambiando tesi a seconda del testimone del giorno o delle fasi lunari. Chiunque in questi anni abbia provato a sollevare timidamente l’indice e dire: “Scusate, ma queste ricostruzioni fantascientifiche, che ignorano quello che è scritto negli atti e cavalcano suggestioni o menzogne, cosa c’entrano con la ricerca della verità?”, è stato seppellito da insulti. O, peggio, dall’atteggiamento passivo-aggressivo di giornalisti che hanno insinuato chissà quali connivenze o trattamenti di favore nei confronti della famiglia Ciontoli. Famiglia che pagherà la pena stabilita da un tribunale – qualunque essa sia –, ma che non dovrebbe essere costretta a sopportare ogni giorno, da 6 anni, la violenza di un populismo giudiziario che aizza spettatori e social, social su cui quotidianamente si leggono minacce di morte ai Ciontoli e inviti a risolvere la questione tramite giustizia privata. Antonio Ciontoli mi ha raccontato cosa significhi vedere i propri figli condannati alla morte sociale a 20 anni, vivere immersi nell’odio, senza più uscire di casa dal 2015, nel timore di essere inseguiti dai giornalisti. La sua richiesta era quella di poter incontrare in trasmissione Marina e Valerio e noi abbiamo girato la proposta ai genitori di Marco, che tramite il loro legale hanno ringraziato, ma comprensibilmente rifiutato. Abbiamo anche informato gli stessi che avrebbero potuto replicare. In una successiva email dell’avvocato ci è stata negata l’autorizzazione per l’utilizzo delle foto di Marina, Valerio e Marco Vannini, nonostante tali foto e video circolino da anni su tutti i media e non siano state diffuse dalla famiglia Ciontoli. E nella stessa missiva ci è stato precisato che “una situazione come quella prospettata dovrebbe essere gestita con imparzialità, atteggiamento che i coniugi Vannini non ritengono di dover riconoscere alla giornalista Selvaggia Lucarelli”. Ieri poi, in un comunicato inviato alla stampa, la signora Vannini ha aggiunto, a proposito di questa intervista, che molti le chiedono “perché questo signore continui a godere di ampie protezioni” e che le è stato da noi negato il diritto di replicare. Mi sembra evidente che le accuse di parzialità e le antipatiche insinuazioni su ipotetiche “ampie protezioni” di cui godrebbe Ciontoli siano argomenti inaccettabili, a cui non intendo comunque rispondere per il rispetto che si deve al dolore altrui. Rispondo però al giornalista Gianluigi Nuzzi, conduttore di un programma che ha dedicato al caso decine di puntate con ipotesi acrobatiche sempre nuove e opinionisti sbraitanti, chiedendo a “FARFALLINA23” sui social di dire la sua ipotesi sull’omicidio. Ipotesi che poi legge in diretta tv. Ieri, in un video inquietante di pochi secondi, con un ghigno feroce, mi ha chiamata “pubblicista-che-si-è-permessa-di-invitare-i-Vannini -in-un-confronto-con-l’ASSASSINO-del-figlio”. Ricordo al giornalista che questo è il mio unico appuntamento in tv con la triste vicenda. Lui e il suo ghigno non solo sono da anni in tv con la foto di Marco Vannini sullo sfondo, ma hanno invitato più volte Antonio Ciontoli – l‘ASSASSINO – nel suo programma. E visto che Nuzzi è di memoria corta, gli rammento anche che tramite una nota giornalista ha fatto arrivare il suo invito a cena a Ciontoli e al suo avvocato. Io e il mio ghigno, però, non ci indigniamo.