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 2021  gennaio 21 Giovedì calendario

L’esercito senza volto che tiene in vita il governo

Non sembri un elogio del trasformismo, ma Buccarella, Ciampolillo, Trano e gli altri neo-contiani “senza- volto”, non sono neppure la sottospecie pittoresca dei Minghetti e dei Depretis che nel 1897 inventarono il rimedio italiano all’ingovernabilità. E difatti ad Aiello, Aprile, Ermellino e Benedetti non si riesce a dare neppure un nome d’appartenenza di cui siano all’altezza, non “responsabili” che rimanda all’etica di Max Weber, e meno che mai “traditori” che rimanda alla dannazione cristiana, all’annientamento comunista e all’acido della mafia. Persino il Pd di Zingaretti, sotto sotto ma non troppo, si vergogna di tutti questi senza-volto e senza-nome perché non è destra che passa a sinistra e nessuno sa bene quale gabbana abbiano rivoltato l’ex ministro già dimenticato Lorenzo Fioramonti e Riccardo Nencini, che Conte ha sedotto chiamandolo in Senato «intellettuale raffinato». Nencini, che si definisce «l’ultimo dei craxiani», è riuscito a realizzare l’unità socialista: Stefania e Bobo … contro di lui. Anche per Michela Rostan, ex Leu, ex Italia Viva, e per Carmelo Lo Monte, ex Di Pietro, ex Dc, ex Cd, ex Psi, ex Salvini, forse la sola metafora possibile è quella dei coolies cinesi nella stiva del Tifone di Conrad, che «avevano l’identità di non avere identità».
I riconoscibili sono pochissimi. Innanzitutto Sandra Lonardo Mastella, che è la famiglia-Stato, la signora Mastellik, la coppia di apoti che nessuno si mette in tasca, nessuno può imbrogliare, i più ganzi e i più ganzamente specchiati, onestissimi e ruspanti, marciano separati e colpiscono uniti. Poi c’è il viso rotondo di Renata Polverini, di cui sono state dimenticate le foto elettorali in guanti di gomma, con straccio e secchio «Ora facciamo pulizia» – poco prima di essere travolta dallo scandalo del Batman ciociario: la Mastro Lindo della moralità lavava Roma con l’acqua sporca. E ancora la grazia berlusconiana di Mariarosaria Rossi, che è stata pastora delle lupe di Arcore. Infine il «torni a bordo cazzo» che ha ridotto Gregorio De Falco a macchietta del comando italiano: Schettino allo specchio.
Nessuno altro ha un viso conosciuto, un tic, una comicità involontaria da caricatura, che so?, come la zazzera politica di Razzi e gli occhiali fumé di Scilipoti con quei loro copioni di giuro e spergiuro, «portatemi una Bibbia», ma anche di fierezze, «mi son fatto i cazzi miei», e di scenografie in limousine bianche e ragazze coccodè, malandrinerie su Instagram ma con sentimento, allegre rodomonterie meridionali come accade sulla scena dell’Opera dei Pupi quando appare Gano di Magonza, il supertraditore che fa morire Orlando, e sembra di stare appunto al Senato con Razzi e Scilipoti: volano insulti e fichidindia, risate e pernacchie.
Nell’Italia contemporanea il tradimento ha finito con l’ottenere un grande successo, come dimostrò il pentito di mafia Tommaso Buscetta diventato un eroe. Ed è parallelamente comparso un singolare fenomeno di simpatia di massa per le bricconate di Berlusconi. Le furbizie andreottiane sono una scienza. «Enrico stai sereno» è letteratura. E una moda salottiera esalta la spregiudicatezza naïf di Giuseppe Conte che in pandemia rivela però l’aspetto tragico della commedia italiana, ma anche l’ingenuità del suo accanito trasformismo. Il suo affanno e la sua spregiudicatezza hanno infatti prodotto i topolini, a cominciare dal forzista Andrea Causin, un ex veltroniano, ex montiano, imprenditore veneto che promette di portarsi via da Forza Italia altri dieci parlamentari e dice che Conte lo ha convinto con la promessa del proporzionale che è un altro ritorno dell’eternità italiana. Il proporzionale è nostalgia della gabbia dalla quale eravamo evasi con il trionfo del referendum Segni sul maggioritario.
Aleggiava, martedì al Senato, la promessa di un futuro di mummie, cadaveri dissotterrati, con la tecnologia della maschera e l’estetica dell’Avatar. Renzi sogna Martinazzoli e Conte De Gasperi e tutti progettano partitini: “Insieme” di Conte, un partito pure per Di Maio, sempre al centro, ovviamente, dove già stanno i partitini di Calenda e Renzi. Il centro e il proporzionale sono come il ritorno della Carrà, delle lucciole di Pasolini, del Maurizio Costanzo show e di Sanremo ovviamente, che sarà una raccolta di memorabilia.
Ma nella sconfitta del “nuovismo” e nel rimpianto come progetto, nel “come eravamo” spacciato per strategia culturale non c’è la maggioranza del tradimento. Questa infatti è solo la maggioranza degli avanzi sparsi, frattaglie sì ma senza sapore, non il “quinto quarto” e neppure il pani câ meusa di Palermo, panino morbido al sesamo, imbottito con pezzetti di milza, polmone di vitello e sugo finto. Tutte insieme queste frattaglie non rimandano ai sapori ribaldi del ribaltone del 1994, alla congiura di palazzo che rovesciò il governo Prodi, ai capovolgimenti di D’Alema, Bossi, Berlusconi, Renzi, sempre in nome della governabilità, tutte varianti del vecchio, storico “giro di valzer” della Prima guerra mondiale e anche della Seconda, con la famosa telefonata del sottotenente Alberto Sordi che, l’8 settembre, non capendo perche i nazisti gli sparavano contro, chiamò il comando e comunicò la novità: «Signor colonnello, è successa una cosa terribile, i tedeschi si sono alleati con gli americani».
Qui invece non c’è Alberto Sordi ma c’è Lello Ciampolillo, a cui Un giorno da Pecora ha dedicato ieri la canzone del coccodrillo: «Il Ciampolillo come fa, non c’è’ nessuno che lo sa….». Anche il qualunquismo e l’antipolitca sono un’eternità italiana. Politica e antipolitica sono come le due isole dell’Egeo che quasi si toccano: Paros e Antiparos.