La Gazzetta dello Sport, 21 gennaio 2021
Ghedina racconta Kitzbuehel
L a messa è iniziata. La prima prova cronometrata, svolta di mercoledì e non di martedì come spesso è accaduto negli ultimi anni, ha aperto la liturgia pagana del weekend di Kitzbuehel. Che non potrà essere il delirio di gente, alcol e velocità di sempre è evidente, a palesarlo è innanzitutto l’assenza della grande tribuna all’arrivo della Streif. L’adrenalina, però, resterà esattamente la stessa, per chi gareggia e per chi seguirà la gara da casa. Anzi, le gare, perché dopo l’annullamento del Lauberhorn per i casi di Covid riscontrati a Wengen, si è deciso di premiare gli appassionati con una doppia discesa sulla picchiata più famosa e temuta del mondo. L’ultima volta era successo nel 2004, vinsero Lasse Kjus e Stephan Eberharter. Mausefalle, Steilhang, Hausberg, Schuss finale: i passaggi della mitologia dello sci sono tutti lì, come al solito impressionanti, come al solito ghiacciati all’inverosimile, pronti a tenere incollati milioni di spettatori in tutto il mondo. Perché Wengen può anche saltare, lo slalom sulla Ganslern può essere dirottato a Flachau, ma la tre giorni della velocità sulla Streif – venerdì e sabato discesa, domenica superG – semplicemente non si può cancellare. Anzi, tra gli addetti ai lavori è forte la sensazione che, dopo la scoperta di un focolaio della “variante inglese” del Covid all’inizio della scorsa settimana a St. Johann, non distante da Kitzbuehel, gli organizzatori abbiano preferito sacrificare le due gare di slalom riprogrammate dopo il forfeit di Wengen proprio per preservare il weekend più atteso dell’anno. Kristian Ghedina è stato il primo italiano a vincere la discesa sulla Streif: era il 1998, anche in quell’occasione si disputarono due discese e lui si impose nella seconda battendo di 14/100 Didier Cuche, che il giorno prima aveva centrato il primo dei suoi cinque successi. Ci siamo fatti raccontare dal “Ghedo” luoghi e aneddoti di un luogo imprescindibile per lo sci mondiale.
I peli dritti
«La partenza, in cima alla cabinovia, è un luogo speciale. Quando gareggiavo io c’era la casetta in legno, ora montano la struttura della Red Bull ma la sostanza non cambia. Quando arrivi lassù per la ricognizione, la tensione sale perché vuoi vedere subito come è la pista. Io mi affacciavo sulla Mausefalle e pensavo: “Eccoci di nuovo qui, forza e coraggio”. Poi il primo esce dal cancelletto e ti si raddrizzano i peli sentendo il rumore che fanno gli sci quando si ferma dieci metri più sotto per controllare la pista. Perché è il suono inconfondibile del ghiaccio liscio e quello è il momento in cui hai la conferma che, per l’ennesima volta, la Streif sarà durissima. Prima della gara ci si concentra, alcuni ascoltano la musica, altri restano in silenzio. Io ero abituato a chiacchierare, a sparare cavolate con lo skiman, a raccontare barzellette. Era il mio modo per non pensare troppo alla gara e quindi non fare salire eccessivamente l’adrenalina. Il problema è che il mio tono di voce non è basso. Ricordo che un anno avevo davanti Cuche, doveva partire prima di me. Mentre racconto la barzelletta, sento l’addetto al cancelletto che dice “meno 30”. Vado avanti ma al “meno 20” Cuche si gira: “Ghedina, per piacere. Sto per partire”. Mi scusai, lui fu secondo e per anni mi ha detto “Se quel giorno non avessi rotto le scatole, avrei una vittoria in più”».
La scommessa
La spaccata di Ghedina sullo Schuss finale della Streif è entrato nella mitologia. Era il 25 gennaio 2004. «L’avevo già fatta in prova, quell’anno. Lo dico a mio cugino Franci che mi prende in giro. “Bravo, sì. Hai fatto la spaccata, e chi ti crede?”. “Certo che l’ho fatta. Per me è una cosa normale, le spaccate durante i salti le facevo anche da ragazzo”. Niente, non voleva credermi. Allora mi sono inventato la scommessa. “Guarda che la ripropongo anche in gara se vuoi, mica ho problemi. Scommettiamo una pizza e una birra che domani la faccio?”. Mi risponde “Gnanca omo” (espressione veneta a metà tra dileggio e sfida: “Se non lo fai non sei un uomo”, ndr). Insomma, mi tocca sull’orgoglio e così la faccio anche in gara. Avevo il pettorale 12 e nonostante quella follia arrivai giù con il miglior tempo. La gente impazzì. Ci sono atleti che in quel tratto finale di pista hanno rischiato la vita».
L’atmosfera
«Io non arrivavo in paese da Innsbruck, ma dal Thurnpass – continua Ghedina – e ricordo l’emozione che saliva man mano che ci si avvicinava. Viaggiando di notte si vedeva tutta la pista illuminata. Kitzbuehel era l’unico posto dove all’arrivo vedevi tanta gente anche nei giorni delle prove. Quando c’è la gara poi è incredibile, le vie del paese diventano il Carnevale di Rio. Attorno alla discesa c’è un business allucinante, compreso quello delle scommesse». Si calcola che ogni anno il weekend dell’Hahnenkamm muova cinquecento giornalisti da tutto il mondo, novantamila spettatori e un giro d’affari di 47 milioni di euro. E fiumi di birra. «So che il tradizionale posto in cui si festeggiano le vittorie è il Londoners – prosegue Ghedina —. Io in 17 anni di carriera non ci sono mai andato. Il più delle volte il giorno dopo la discesa avevo la combinata, quindi non era il caso. Dopo la gara, poi, il programma è talmente stretto tra conferenze stampa, eventuali premiazioni e antidoping, che ti rimane solo il tempo per fare un po’ di corsa per scaricare la tensione della giornata, poi è già ora di cena e di andare a letto. Altri però andavano, da Alphand (nel 1995 fu l’ultimo a realizzare la doppietta nei rari casi di due discese in una stessa annata, ndr) a Rahlves fino allo stesso Cuche. Loro non avevano il problema della gara il giorno dopo, quindi finivano a spinare birre al banco del Londoners. Mi sa che Bode Miller invece ci andava anche se il giorno dopo c’era la gara».