La Stampa, 19 gennaio 2021
Un documentario sui Bee Gees
«I fratelli che cantano insieme sono uno strumento musicale che nessun altro può comprare». Lo dice Noel Gallagher (uno che nel campo ha una certa esperienza) a proposito delle armonie vocali dei tre fratelli Gibb, nel nuovo documentario The Bee Gees: How Can You Mend A Broken Heart, diretto da Frank Marshall e visibile su Apple TV+. Un film avvincente e straziante, che racconta la saga di una delle band di maggior successo nella storia della musica pop, un’avventura lunga mezzo secolo costellata da trionfi e cadute, rinascite inaspettate e atroci lutti famigliari. Barry Gibb, il maggiore dei fratelli, è oggi l’unico sopravvissuto, e dalla sua villa in riva al mare di Miami guarda indietro ad una vita che gli ha dato fortune e successi e gli ha tolto troppo presto il resto della famiglia.
L’imponente catalogo musicale dei Bee Gees rivive nel nuovo album Greenfields - The Gibb Brothers Songbook (Vol.1), firmato Barry Gibb & Friends, dove i «friends» sono le maggiori stelle della musica country, che con lui duettano in dodici rivisitazioni dei suoi capolavori melodici. Perché chi ricorda i Bee Gees come il gruppo più famoso della discomusic forse non sa che i tre fratelli, nati in Inghilterra e cresciuti in Australia, ebbero negli Anni 60 una prima esplosione conquistando le classifiche mondiali con dolci ballate come Massachussets, To Love Somebody, Run To Me, che valsero loro la definizione di «Beatles australiani». Un successo fulmineo. «Pochi mesi prima mi ero iscritto al fan club dei Beatles, ora Paul McCartney veniva a vedere un nostro concerto a Londra», dice nel film Maurice Gibb, che dei tre era il collante, quello che provava a metter pace tra i conflitti del suo gemello Robin, timido e oscuro, con Barry, maggiore di tre anni e leader naturale.
Vale la pena oggi riscoprire la trilogia dei loro dischi degli Anni 60, Horizontal, Idea e il doppio Odessa, ambizioso «concept album» sul naufragio di una nave immaginaria nel Mar Baltico. Non solo canzonette da ballare, dunque, anche se a quelle il grande pubblico li associa naturalmente, perché dopo un periodo buio nei primi Anni 70 i Bee Gees miracolosamente rinascono, complice la scaltrezza del manager Robert Stigwood, che produce un film sulle minoranze etniche italiane e latine che a New York si sfogano nelle discoteche il sabato sera. Una storia di nicchia, un azzardo reclutare come protagonista un giovane attore televisivo ancora poco conosciuto e chiedere ai Gibb di scrivere canzoni in stile «disco». Ma la geniale intuizione e le congiunzioni astrali trasformano Saturday Night Fever in campione di incassi, un film che definisce il fenomeno sociale e culturale della discomusic, trasforma John Travolta in superstar globale nominata agli Oscar, e la cui colonna sonora diventa uno dei dischi più venduti di tutti i tempi con 40 milioni di copie. Alla fine degli Anni 70 i Bee Gees sono in cima al mondo, come i Beatles dieci anni prima. Venti volte al numero uno nelle classifiche americane e inglesi, concerti negli stadi, ma di nuovo travolti dal troppo successo perché additati come gruppo simbolo della discomusic e dunque messi alla berlina dal movimento «Disco Sucks», che con il pretesto di condannare un genere di musica rivela il razzismo e l’omofobia dell’America gretta e conservatrice.
Negli Anni 80 Barry Gibb rinasce artisticamente un’altra volta diventando il più efficace restauratore delle carriere di una serie di stelle del pop femminile in cerca di nuova linfa, e come produttore e autore cuce addosso a Barbra Streisand, Dionne Warwick e Diana Ross gli album dei loro rispettivi ritorni in classifica. Le tragedie vere cominciano nel 1988, quando il quarto fratello Gibb, Andy, il più giovane e il più bello, per una breve stagione baciato dal successo discografico e dalla fama di «teen idol», muore a trent’anni vittima di anni di depressione e abusi. Nel 2003 se ne va per un attacco cardiaco Maurice e nove anni dopo un tumore si porta via Robin, il fratello con la voce che arrivava dritta al cuore.
Barry rimane solo (anche se ha sempre accanto la moglie Linda, ex Miss Edimburgo sposata nel 1970) e solo nel 2017 trova il coraggio di risalire su un palco. Il festival di Glastonbury lo accoglie con il rispetto riservato a una leggenda e 100.000 persone ballano all’unisono sulle note di Stayin’ Alive. Sono le immagini trionfali che concludono il commovente documentario, che esce proprio mentre le melodie dei Bee Gees trovano una nuova veste e una nuova casa nella capitale musicale americana: Nashville, la città dove la musica è la principale attrattiva turistica, con musei dedicati e tour guidati delle case discografiche. E soprattutto è la città dove gli studi di registrazione suonano da paura, gli strumentisti sono i migliori d’America e i produttori di altissimo livello. Registrare lì vuol dire essere protetti dall’eccellenza. Diversi artisti pop hanno provato a entrare nella comunità musicale di Nashville per riciclarsi nel florido mercato country, ma non tutti vengono accettati. La musica dei Bee Gees ha invece avuto una accoglienza straordinaria e le migliori voci della scena hanno affiancato Barry: da Keith Urban a Jason Isbell, da Alison Krauss a Sheryl Crow, nuove stelle come Brandi Carlile e Miranda Lambert e leggende viventi come Olivia Newton John e Dolly Parton, che già nel 1983 aveva cantato la sua Island In the Stream insieme a Kenny Rogers.
Greenfields - The Gibb Brothers Songbook (Vol.1) è un album di canzoni meravigliose, che lascia fuori quasi tutto il periodo dance per concentrarsi sulle grandi ballate. Un disco che ci fa pensare a quanto siamo stati fortunati a crescere con queste canzoni nelle orecchie e nel cuore, e a riconoscerle oggi come note famigliari. Perché sempre di famiglia si tratta. Il co-produttore del disco è Stephen Gibb, figlio chitarrista (metallaro) di Barry, ma i fratelli non ci sono più. «Preferirei non avere avuto successo, ma averli ancora qui con me», conclude malinconico Barry guardando il golfo di Miami, perché nessuno può comprare quel meraviglioso strumento musicale che sono le voci dei fratelli che cantano insieme.