ItaliaOggi, 19 gennaio 2021
I «colpo di stato» dei giganti del web
Dopo un anno di pandemia, ha scritto Paolo Panerai nell’editoriale di sabato scorso, nel mondo ci sono vincitori e vinti. E a vincere, come documentano i listini di Wall Street, sono stati i giganti del web, gli Ott, Over the top, le cui ricchezze e potere sono stati esaltati proprio dal Covid-19. Per vincere, e moltiplicare la loro ricchezza, gli Ott classici (Google, Facebook, Twitter, Amazon) avevano già tutto: tecnologia, contenuti, merce da vendere, canali per pubblicità martellanti al fine di vendere sempre di più, intrattenimenti di tipo nuovo con tariffe concorrenziali. Al potere economico, già immenso, ne hanno sommato uno nuovo, di tipo politico, dandone prova con la censura imposta a Donald Trump. Un potere senza limiti.
È accettabile tutto ciò? Per Panerai, che con lucidità ha richiamato l’attenzione su una questione di fondamentale importanza per chi crede nella democrazia, non lo è: «Possibile che nel paese dove è più intensa la coltivazione di questa pianta malefica, che unisce potere e ricchezza, nessuno si sia ancora alzato a dire che il problema non è Trump, o non è più Trump, che si è autodistrutto da solo, ma che il problema sono i sistemi che hanno permesso a Trump di vincere e poi lo hanno abbassato al livello di essere addirittura censurato con due procedure di impeachment?».
Una prima risposta a questa domanda è senza dubbio l’analisi che l’economista Luigi Zingales, 57, docente all’Università di Chicago, ha firmato su ProMarket, edito dallo Stigler Center della stessa università. Dopo avere messo a fuoco l’enorme potere politico raggiunto negli Stati Uniti dai Tagaf, acronimo basato sulle iniziali dei maggiori Ott (Twitter, Amazon, Google, Apple, Facebook), Zingales parla apertamente di un loro «colpo di Stato silenzioso», messo in atto contro Trump. Attenzione: Zingales non è un sostenitore di Trump, anzi ne condanna l’operato con fermezza: «Ciò che ha fatto Trump è sbagliato. Dovrebbe essere soggetto a impeachment. La punizione forse gli arriverebbe troppo tardi, ma creerebbe il giusto precedente. Il Senato dovrebbe anche impedirgli di accedere alle cariche pubbliche in futuro».
Ciò non toglie, però, che «se Trump ha violato la legge con i suoi tweet, dovrebbe essere perseguito secondo legge. Perché, allora, Twitter e Facebook si sono fatti giustizia da soli, autodichiarandosi vigilantes?». Il fatto è, hanno obiettato molti, che Twitter e Facebook sono società private e hanno il diritto di decidere le regole da rispettare nell’utilizzo dei loro servizi. «Questo è certamente vero», conviene Zingales, «ma queste regole dovrebbero essere fatte rispettare in modo coerente, e così non è. Sarebbe stato diverso se Twitter e Facebook avessero smesso molto prima di promuovere i tweet e i post di Trump, come invece hanno fatto finora per attrarre più clienti sulle loro piattaforme. Escludere dall’acceso a una piattaforma web equivale ad una compagnia telefonica che impedisce a un individuo di accedere al telefono. È una straordinaria limitazione della libertà personale, che può essere imposta solo da autorità legittime in seguito a un giusto processo, non da compagnie private».
Più avanti: «Sorprendentemente, la maggior parte dei media tradizionali, che dovrebbero controllare l’esercizio del potere, stanno plaudendo alle decisioni dei Tagaf, invece di opporsi. Dopo tutto, alcuni di loro sono di proprietà dei Tagaf (The Washington Post è di Jeff Bezos, The Atlantic è di Laurene Powell Jobs, la vedova di Steve Jobs), e tutti dipendono dai Tagaf per la propria sopravvivenza». Senza giri di parole, Zingales arriva al nocciolo della questione: «Il colpo di stato silenzioso non sarebbe stato possibile senza l’estrema concentrazione del settore digitale. Facebook da solo conta quasi il 70% dell’utilizzo dei social media negli Stati Uniti, con Twitter che domina un altro dieci per cento. Apple e Google controllano il 90% del mercato delle App, e Amazon controlla il 45% dei servizi di cloud computing. La concentrazione favorisce coordinamento e collusione».
Da tempo, negli Usa vi è un dibattito tra gli economisti su come sia possibile contrastare i nuovi monopolisti del web. Alcuni, capofila l’economista Tyler Cowen, sostengono che le vecchie regole antitrust sono superate, poiché a limitare il potere dei Tagaf basta la minaccia di nuovi ingressi come concorrenti. Ma Zingales obietta che quando i seguaci di Trump hanno provato a spostarsi su Parler, «ciò è stato reso impossibile da Apple, Google e Amazon, agendo in modo coordinato». Il che dimostra che «la concentrazione nel settore digitale è arrivata al punto da poter disinnescare la minaccia di ingresso. Per questo i Tagaf sono un power trust che reprime la libertà dei cittadini». Di più: nel pieno di una pandemia, agendo come hanno fatto con Trump e i suoi seguaci, i Tagaf «escludendo dai social media, hanno il potere di mettere un individuo all’equivalente degli arresti domiciliari».
Una prassi che può condurre a una deriva autoritaria, pericolosa per la stessa democrazia: oggi viene usata contro la destra trumpiana, domani potrebbe esserlo contro la sinistra. Un rischio che Zingales descrive così: «Nelle democrazie alle prime armi è impossibile governare senza il sostegno dell’esercito. È raro vedere i carri armati nelle strade, ma la minaccia è così presente che i rappresentanti eletti devono stare attenti all’esercito quando prendono le decisioni. Gli Stati Uniti si trovano in questa situazione, eccetto che il potere dell’esercito risiede nei Tagaf». Parole esagerate? O profetiche? Di certo, scritte prima che ventimila soldati armati fossero messi a difesa di Capitol Hill in vista del giuramento di Joe Biden, un fatto senza precedenti per lo Stato considerato il faro della democrazia nel mondo.
@font-face {font-family:Helvetica; panose-1:0 0 0 0 0 0 0 0 0 0; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:auto; mso-font-format:other; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:3 0 0 0 1 0;}@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:30.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; color:#44546A; mso-themecolor:text2; mso-fareast-language:EN-US; font-weight:bold; mso-bidi-font-weight:normal;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:30.0pt; mso-ansi-font-size:30.0pt; mso-bidi-font-size:30.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; color:#44546A; mso-themecolor:text2; mso-fareast-language:EN-US; font-weight:bold; mso-bidi-font-weight:normal;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}