il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2021
Il trading online Fai-da-te
La pandemia ha fatto tornare di moda il trading online. Com’è già accaduto più volte negli ultimi vent’anni, anche stavolta la recessione – con il carico di rinforzo dei lockdown – ha spinto molti verso le sirene che su siti e giornali raccontano com’è facile far soldi comprando e vendendo via web azioni, titoli, strumenti finanziari o criptovalute. Ma in nove casi su dieci gli improvvisati Gordon Gekko finiscono per perdere i loro soldi.
La volatilità dei mercati, il bisogno di redditi alternativi e la clausura domestica hanno spinto molti, nel mondo e in Italia, a provare il trading online. Secondo Assosim, l’associazione degli intermediari italiani che rappresenta il 90% del mercato nazionale, le “zone rosse” di marzo e aprile scorsi hanno fatto triplicare su base annua il trading online e addirittura quintuplicare le compravendite di azioni. Con la ritrovata libertà, la bolla ha iniziato a sgonfiarsi: nei primi quattro mesi del 2020 la crescita delle compravendite a Piazza Affari si è ridotta all’81% e a fine giugno le operazioni su azioni erano cresciute del 60%, quelle sui bond del 48% e quelle su Etf del 147%. Per l’intero 2020 è previsto un aumento dei volumi in linea con i dati del primo semestre.
Il fenomeno è arrivato in Italia vent’anni fa con il boom delle dotcom. A fine 2005, quando l’attività durava da un lustro, su 3,7 milioni di conti titoli abilitati al trading solo 520mila erano davvero attivi e meno di un decimo di questi mostrava un’operatività continua e consistente. All’epoca da 355mila conti online erano partiti fino a 12 ordini di investimento al mese. Altri 100mila registravano da 13 e a 50 ordini mensili. I trader che passavano l’intera giornata davanti al computer erano il 9% del totale: 33.500 conti facevano segnare da 51 a 200 operazioni mensili, altri 11.500 oltre 200 ordini ogni 30 giorni. Ancora oggi la suddivisione è rimasta simile.
L’appeal dell’investimento via web cresce nelle fasi di mercato volatili, specie se al rialzo. C’è chi vede nel trading online un passo verso l’autonomia finanziaria, ma il fai-da-te consapevole però riguarda un’esigua minoranza di utenti competenti, oltre a qualche cassettista che investe per il lungo periodo, il che comunque non basta a evitare i rischi. Nella realtà il boom assomiglia più alla piaga sociale dell’azzardo sul web: la maggioranza dei giocatori sono condannati in partenza dall’ignoranza dei meccanismi e dal calcolo delle probabilità che gioca a loro sfavore. Come i surfisti, ai trader sono necessarie competenze per cavalcare i trend di Borsa, informazioni in tempo reale per evitare gli scogli ma anche prudenza per tenersi alla larga dai troppi squali in agguato con le loro truffe. È inevitabile che, alla lunga, la maggior parte non regga lo stress di giornate consumate davanti ai monitor. Anche perché per piazzare l’ordine “giusto” spesso non basta studiare bilanci e interpretare segnali grafici se la controparte possiede informazioni migliori e usa l’intelligenza artificiale nel trading ad alta frequenza, che apre e chiude gli ordini in 5-10 milionesimi di secondo.
Ecco perché l’Esma, l’authority Ue che vigila sui mercati finanziari, ha messo in guardia i trader dall’aumento dei rischi causati dalle turbolenze finanziarie dovute alla pandemia e ha chiesto agli intermediari di agire in conformità con l’interesse dei clienti e le norme che tutelano i loro diritti. Il che non sempre è facile: la Consob ha messo a disposizione sul web (cercare sul motore di ricerca con le parole chiave “Consob” e “Occhio alle truffe”) un vademecum di regole di prudenza. L’autorità spiega che per prima cosa occorre verificare sul suo sito l’elenco delle società autorizzate, in Italia o negli altri Paesi Ue. Mai fidarsi di chi non è nella lista ufficiale o dei broker segnalati tra gli avvisi ai risparmiatori. Ma la rincorsa a bloccare le truffe è il tentativo di svuotare il mare con un setaccio: la Consob e le sue gemelle esaminano in continuazione siti e app, bloccandone a centinaia e segnalandoli alla magistratura e ad altre autorità, ma ne spuntano sempre di nuovi. A volte poi le autorità non hanno uomini, mezzi o esperienza sufficienti: per questo molti broker si registrano a Cipro, dove la Consob locale Cysec pare avere manica larga. Poi, con il passaporto cipriota in tasca, le piattaforme di trading sono autorizzate a operare in tutta la Ue. C’è però chi vede dietro questa elasticità il rischio di aprire le porte a fenomeni come truffe o riciclaggio.
Non pare questo il caso di eToro, una delle maggiori multinazionali del trading online che conta quasi un milione di clienti italiani su 17 milioni in 100 Paesi e l’anno scorso ha registrato oltre 5 milioni di nuovi utenti. Fondata da imprenditori israeliani, attraverso la succursale di Cipro è sbarcata in Europa, poi nel Regno Unito e negli Usa. Con eToro si può fare trading sui Cfd, i contratti per differenza che sono derivati con i quali si vince o si perde in base ai prezzi all’inizio e alla fine del contratto. Sulla piattaforma si possono trattare anche singole azioni, fondi passivi come gli Etf, indici, materie prime, valute e persino le criptovalute.
Il 12 febbraio 2013 eToro ha patteggiato con la Cysec una multa da 50mila euro per carenze antiriciclaggio, ma oggi assicura di non avere alcuna verifica in corso e, “in qualità di broker regolamentato”, di “soddisfare pienamente tutti i requisiti antiriciclaggio Aml e verificare tutti i clienti come richiesto”. La richiesta di informazioni inizia quando i clienti aprono un account. I clienti che sono registrati alla piattaforma ma non hanno finanziato il proprio conto non sono obbligati a completare la procedura delle domande antiriciclaggio. Appena intendono depositare fondi, devono però completare l’intero processo Aml “in conformità con le migliori pratiche” e in aderenza “a tutti gli standard rilevanti richiesti dai regolatori in ogni giurisdizione”. Vuoi mettere la sensazione di sentirsi cool perché si investe su eToro via computer o smartphone con pochi clic, come suggerisce il testimonial Alec Baldwin, l’attore che ha preso in giro Trump in tv? Peccato che i Cfd spesso si trasformino in trappole che erodono tutto il capitale investito. Così la stessa eToro è obbligata dalle autorità a mettere nero su bianco sin dall’homepage che “il 71% dei conti degli investitori retail perde denaro negoziando Cfd con questo fornitore”, perché in passato molti investitori non ne hanno compreso i rischi.
A guadagnarci sono i broker, ma quelli non quotati come eToro non danno cifre. Alcune analisi dimostrano che invece il 90% dei clienti ci rimette, a volte anche l’intero investimento. Così non appena i mercati tornano in fase di calma piatta la tribù dei trader registra periodiche “estinzioni di massa”, due solo tra il 2000 e il 2005.
Gli utenti difficilmente raccontano quanto hanno perso: come nella ludopatia, più scommettono più vanno sotto. È toccato anche a Josè Alvarez, compagno del portavoce della presidenza del Consiglio Rocco Casalino: in appena due mesi ha perso 18mila euro. Secondo Casalino “nei giorni del lockdown è stato più volte chiamato da un call center di una società collegata a un sito di trading online. Gli suggerivano come e dove investire, prospettandogli guadagni facili”. La finanza comportamentale spiega questi tonfi con la “miscalibration” (errore nella valutazione della probabilità), con l’eccessivo ottimismo sulla propria capacità (“Io sono più bravo della media”) e l’illusione del controllo (“Smetto quando voglio”). In pochi riescono davvero a prendere per le corna il toro delle Borse.