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 2021  gennaio 18 Lunedì calendario

Il Wsj: “In Israele la 1ª dose di vaccino ha ridotto i contagi del 33 per cento”

È una notizia che fa sperare, anche se va presa con le pinze: dai primi dati rilevati in Isreale, la nazione che ha condotto la più veloce campagna vaccinale anti Covid – su un quarto della popolazione in meno di un mese – emergerebbe che la già la prima dose di vaccino Pfizer Biontech possa diminuire la trasmissione del contagio del 33%. Il che farebbe sperare anche rispetto ai problemi relativi alla mancanza di dosi sufficienti a garantire che due dosi di vaccino siano somministrate nei tempi previsti dai protocolli vaccinali. Pfizer ha annunciato il taglio alla distribuzione delle dosi del 29%, indatti, e da domani arriveranno in Italia ben 100 mila dosi in meno. Il Regno Unito ha deciso di posticipare la somministrazione della seconda dose fino a 12 settimane dopo la prima, e non 21 giorni, come prevede il protocollo Pfizer. Scelta criticata da molti esperti nel mondo, ma che invece ha un senso secondo altri.
“È una questione urgente e su cui bisogna discutere subito”, spiega Giuseppe Pontrelli, epidemiologo clinico, ex Istituto superiore di sanità. La controversia ruota attorno a due approcci. Il primo: seguire i protocolli sperimentali somministrando la seconda dose a 21 giorni dalla prima per Pfizer raggiungendo la la massima copertura del 95%, e dopo 28 per giorni per Moderna, per avere al 94%, evitando così di addentrarsi nell’incertezza, ma lasciando fuori un gran numero di soggetti ad alto rischio. Anche l’Agenzia del farmaco europea (Ema) ha dichiarato: “Il lasso di tempo massimo di 42 giorni da far trascorrere tra la prima e la seconda dose del vaccino Pfizer Biontech deve essere rispettato per ottenere la massima protezione”, ha dichiarato il 4 gennaio. “Le prove dell’efficacia si basano su studi in cui le dosi sono state somministrate da 19 a 42 giorni di distanza l’una dall’altra. La protezione completa è accertata dopo sette giorni dal richiamo”. L’altro approccio, come quello adottato dal Regno Unito, prevede di spostare fino a 12 settimane più avanti le seconde dosi destinate ai sanitari, per offrire la prima dose a quante più persone ad alto rischio. Rinunciando alla copertura ottimale accertata del 95 e 94% e rischiarne una minore. Lo sostengono molti esperti di alto profilo scientifico, come Akiko Iwasaki, immunobiologa all’Università di Yale. Moderna ha testato il vaccino anche nella forma di unica dose in un gruppo di volontari. Si è visto che l’efficacia scende all’80%. Dai dati Pfizer, che hanno utilizzato due dosi su tutti i volontari del gruppo dei vaccinati, si evince che dal 10° giorno dalla prima dose fino al 21° (data in cui si è iniziata a somministrare la seconda dose) c’è comunque una significativa differenza nel numero di malati Covid registrati nel gruppo placebo e in quello che ha ricevuto la prima dose. “Certo, dopo il 21° giorno non possiamo dire più nulla su quanto la prima dose avrebbe continuato a proteggere dalla malattia”, spiega Pontrelli. “I dati non li abbiamo. Lo studio condotto in Israele, non ancora pubblicato e tutto da confermare, offre una speranza sul puntare sulla prima dose per salvare quante più vite possibile. Come riporta il Wall Street Journal il più grande provider di assistenza sanitaria di Israele, Clalit Health Services, ha confrontato i tassi di positività al SarsCov2 tra un gruppo di 200 mila persone oltre i 60 anni che hanno già ricevuto il vaccino, con 200 mila che non lo hanno ricevuto. Fino al 14° giorno, c’era poca differenza nel numero di infezioni contratte rispettivamente nei due gruppi. Ma dal 15° giorno in poi, i dati mostrano un calo del 33% dei tassi di infezione tra chi ha ricevuto la prima dose e chi nulla. Il che potrebbe dare un’importante e nuova indicazione anche rispetto alla capacità del vaccino Pfizer di proteggere anche contro il contagio, non solo contro la possibilità di sviluppare la malattia Covid.