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 2021  gennaio 17 Domenica calendario

I 50 anni dell’insaziabile Guardiola

Mercoledì sera il Manchester City ha vinto la prima delle due partite che doveva recuperare, issandosi al terzo posto della Premier, a quattro punti dallo United che ha però giocato una gara in più. L’unico gol del match è stato segnato da Phil Foden, il centrocampista offensivo del 2000 all’ottava rete stagionale. Pep Guardiola a bordo campo l’ha applaudito a lungo, sfoderando il sorriso paterno che da tempo dedica a questo ragazzo di Stockport, sobborgo meridionale di Manchester, entrato a sette anni nel vivaio del City. Pep lo vide all’opera per la prima volta l’11 novembre 2016, all’inizio del suo mandato inglese, quando accompagnò il direttore sportivo Begiristain alla partita dell’Under 18 contro il Wolverhampton. Al termine – finì 6-1 per i ragazzi del City – Pep diede tre nomi al dirigente: dalla settimana successiva voleva che si aggiungessero agli allenamenti della prima squadra Foden, Jadon Sancho e Brahim Diaz. Avevano qualcosa in più. Da allora, hanno seguito tragitti diversi: delusi dal poco spazio, prima Sancho (al Borussia Dortmund) e poi Diaz (al Real Madrid e ora al Milan) hanno ottenuto la cessione. Pep non ha voluto correre lo stesso rischio con Foden, facendolo giocare di più, garantendogli che l’imminente addio di David Silva gli avrebbe liberato il posto, e lanciandosi in una delle sue iperboli: ha detto di non aver mai allenato un giocatore col suo talento, affermazione un po’ eccessiva in bocca a uno che ha lavorato quattro anni con Messi. Ma tant’è, Foden è l’orgoglio dell’academy del City come Busquets fu il simbolo della cantera del Barça, o Kimmich il terzino da portare al Bayern, che poi ci avrebbe pensato lui a trasformarlo in un gran centrocampista. Sono le visioni di Pep Guardiola, la sua capacità di intuire in un giocatore – ma vale anche per un modulo, un club, qualsiasi situazione – l’evoluzione possibile.
Quello che viene considerato il miglior allenatore della storia compie domani 50 anni. Fra i molti rovelli che lo assillano c’è da tempo la teoria, di platonica memoria (“l’esperienza toglie più di quanto aggiunga”), che i 50 siano una linea di confine, oltre la quale la creatività si diradi a favore di una gestione meno innovativa e più accorta.
Un aneddoto del suo anno newyorkese – la stagione 2012-13 – aiuta a capire: a Manhattan, Pep e la moglie Cristina frequentavano spesso Garry e Daria Kasparov. Il fenomeno degli scacchi, da tempo ritiratosi, è stato uno dei maestri di Magnus Carlsen, il campione del mondo all’epoca ventiduenne. Una sera a cena Pep chiese a Garry chi fosse il migliore tra lui e l’allievo, e la risposta lo lasciò basito: «Sono ancora molto più bravo di lui, ma non avrei alcuna chance di batterlo». Che significa? Se ti allenassi un po’... «Impossibile. Sono troppo vecchio». Kasparov, che aveva esattamente cinquant’anni, tagliò corto, e questo malgrado Guardiola, che voleva capire perché l’amico ritenesse invalicabile quella frontiera, lo implorasse. Fu Daria a spiegarlo a Cristina, preoccupata per la fissazione del marito: «Nessuno possiede la tecnica e la creatività di Garry, ma Magnus ha dalla sua l’energia. Una partita fra loro andrebbe certamente per le lunghe, e valutare le migliaia di possibili sviluppi richiede una freschezza mentale che a 50 anni non hai più. Garry non desidera più scendere a certe profondità di ragionamento, è troppo faticoso. Ma se non scendi, non vinci più. È per questo che si è ritirato».
Fino a qualche mese fa, Pep era propenso a chiudere l’esperienza al City al termine di questa stagione. La moglie e le due figlie erano tornate a Barcellona, richiamate dal lavoro e dagli studi, e con lui, nel grande appartamento che guarda la cattedrale di Manchester, era rimasto solo il figlio Marius. Il club aveva discretamente avviato lo studio su un possibile successore selezionando due nomi: Brendan Rodgers, manager del Leicester, e Mauricio Pochettino, oggi al Psg ma allora libero. Nel breve scorcio di agosto passato a Lisbona – prima della sciagurata eliminazione dalla Champions per mano del Lione – Pep era però tornato possibilista sul rinnovo e i dirigenti avevano interrotto ogni altro discorso. Guardiola è sempre stato la loro priorità, a prescindere dai risultati non brillanti della scorsa stagione.
Se Pep ha accettato di prolungare il suo contratto fino al 2023, disegnando così un legame di sette anni inedito per le sue abitudini (4 stagioni a Barcellona, 3 in Baviera), è perché ha ragionato sul fatto che non esiste al mondo un club che possa offrirgli le risorse e l’organizzazione del City. Il sostegno necessario per affrontare la sfida rifiutata da Kasparov: perseverare nelle proprie visioni, innovare ulteriormente, avvicinarsi il più possibile alla perfezione, e soprattutto farlo dopo i 50 anni, quando le persone normali inseriscono il pilota automatico e cominciano a godersi quanto realizzato sin lì.
Guardiola ha affidato nel tempo a giornalisti di fiducia il racconto dei suoi metodi: Herr Pep di Marti Perarnau narra il triennio al Bayern, Pep’s City di Lu Martin e Pol Ballus è il compendio dei primi anni a Manchester. Il club inglese ha aggiunto la docu-serie di Amazon All or nothing. L’insieme di queste opere descrive fin nei dettagli la capacità di lavoro qualitativa ma anche quantitativa di Guardiola e l’empatia che crea con chiunque gli stia accanto. Siamo tutti ammirati dalle progressive evoluzioni del suo calcio, passato nel tempo dal tiqui-taca orizzontale del Barça al gioco posizionale e verticale del City, fino a quest’ultima versione: quattro giocatori fissi (il portiere Ederson, i centrali Ruben Dias e Stones, il mediano Rodri), gli altri sette ruotano continuamente ricoprendo a turno tutti i ruoli. Ma questi continui sviluppi tattici sono il meno, o meglio la conseguenza di un lavoro di squadra che inizia alle 9 del mattino e finisce alle 9 di sera, e all’interno del quale l’allenamento sul campo è una parentesi tra riunioni e sedute video.
C’è la nutrizionista che ha trasformato le cucine del centro sportivo nel ristorante più chic di Manchester. C’è Kevin De Bruyne che va pazzo per Guardiola da quando gli ha detto «puoi essere uno dei cinque più forti del mondo senza sforzo». C’è la parete dell’ufficio fatta apposta per scriverci sopra. Le frasi vanno e vengono tranne questa di Bielsa, che è fissa: «La vittoria rilassa, la sconfitta accende». C’è lo spogliatoio ricostruito in forma ovale per facilitare l’interazione collettiva, anziché a gruppetti. C’è la miglior difesa del campionato perché Ruben Dias è in grado di giocare sempre, anche ogni tre giorni, e dopo una notturna è in palestra già alle 8 del mattino. C’è una città in cui piove sempre, ma alla quale Pep si è legato nel giorno più buio, il 22 maggio 2017, quando un militante dell’Isis si fece saltare nell’Arena durante un concerto di Ariana Grande, uccidendo 22 persone e ferendone 250. Il grande teatro è a 200 metri dalla casa di Guardiola, lui stava guardando una partita in tv con Marius mentre Cristina e le ragazze erano lì, in platea. Esplosione. Sirene. La telefonata della moglie: «Stiamo uscendo, c’è il fumo, non si vede niente». Pep e Marius si precipitano in strada, la marea di ragazzi in fuga fa spavento. Cristina chiama ancora: «Siamo fuori, arriviamo». Potete immaginare il ricongiungimento, sotto gli occhi di Ilkay Gündogan che è il dirimpettaio dei Guardiola. E di Leroy Sané e David Quintana, capo della logistica della prima squadra, che vagano nei pressi angosciati perché Raheem Sterling aveva chiesto i biglietti per il concerto, e ci vorrà un po’ per scoprire che all’ultimo momento aveva preferito andarsene al ristorante. Le indagini scoprono che l’attentatore era un ragazzo di origine libica nato e cresciuto a Fallowfield, due strade più a Nord della Stockport di Foden. Tre giorni dopo Pep e la famiglia partecipano alla commemorazione pubblica in una St Ann Square che è un tappeto di fiori. Nel silenzio una donna comincia a cantare una canzone bellissima degli Oasis, Don’t look back in anger, non guardare al passato con rabbia. In breve l’intera piazza è con lei.