Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 16 Sabato calendario

QQAN70 Mistico Malevič

QQAN70

Il libro di Massimo Carboni, Malevič. L’ultima icona (Jaca Book) ripercorre il grande dibattito sull’iconoclastia che corre parallelo alla discussione filosofica sullo statuto dell’immagine e sul rapporto tra le immagini e la realtà. Entra dunque in quella zona di incandescenza intellettuale che è la Russia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. È un fermento paragonabile solo a quello che animava negli stessi anni Parigi. Qui fioriscono le filosofie che hanno raccolto l’eredità di Dostoevskij e di Vladimir Solov’ev, la grande poesia di Alexandr Blok e di Anna Achmatova e di Marina Cvetaeva, la narrativa esoterica di Andrej Belyi, e poi le avanguardie artistiche, il futurismo e il suprematismo. Dentro questo fermento, come una sorta di emergenza estrema e misteriosa, troviamo Malevič, il Quadrato nero e il Quadrato bianco. Il nero e il bianco sono i due colori, i due non-colori, che annientano ogni colore. Sono in sé intransitivi, e in questo impredicabili e inintepretabili.
Il Quadrato nero è del 1915, retrodatato da Malevič al 1913 a farne l’origine stessa del suprematismo, è ripetuto nel 1923 e poi nel 1929. Il Quadrato bianco è del 1919. Prima di questa esperienza abbiamo le sue composizioni geometriche, poi il ritorno al paesaggio e al ritratto e alle figure. Al suo fianco El Lissitzky e Ol’ga Rozanova. Ma il Quadrato nero è altra cosa. È un attentato vero e proprio alla raffigurabilità del mondo. Un attentato simile per certi versi a quello di Duchamp, che propone, o meglio ostenta, l’oggetto, l’oggetto casuale, l’objet trouvé, nella sua in qualche modo oscena nudità, o al taglio di Fontana, una vera e propria ferita, una lacerazione nel tessuto stesso della mimesis che ha retto per millenni lo statuto delle arti.Mallarmé aveva già detto che il fiore dipinto non ha odore, che tra l’immagine e l’oggetto non c’è alcun rapporto necessario. Ceci n’est pas une pipescriverà Magritte in calce ad un’immagine di una pipa dipinta. Ma il nero di Malevič va oltre la contestazione delle pretese imitative delle arti. Il nero di Malevič vuole, annientando il linguaggio, metterci di fronte al nulla, alla luce nera che illumina l’assoluto. Vengono in mente i mistici, Meister Eckhart, Angela da Foligno, che affermava che la tenebra è un «bene maggiore di quanto si possa pensare o comprendere; e ciò che si può pensare e comprendere non lo attinge, né vi si avvicina». Qui è la certezza di Dio e dunque «mi raccolsi tutta in quel bene che mi appariva nella tenebra». Ma il Quadrato nero non è solo un’esperienza mistica, è anche una esperienza filosofica.Carboni nel suo libro segue e illustra il percorso della tradizione neoplatonica che parte appunto dalla negazione delle apparenze del mondo, dall’«oceano delle dissomiglianze» che rendono il mondo, come ha scritto Platone, incerto come fosse sulle onde del fiume Euripo. È necessario perciò passare oltre l’apparenza, oltre l’immagine che cerca di restituirla, per giungere all’idea, all’eidos, che è «oltre logos e episteme», come scrive Platone nel Simposio. È oltre dunque il linguaggio e oltre il sapere, anche del filosofo che ne parla.Non voglio imputare a Carboni riflessioni mie. Penso che il neoplatonismo sia una sorta di perversione del pensiero di Platone. Diventa la fuga solitaria dal mondo di Plotino. Diventa, alla fine di un lungo percorso, il dramma di Damascio che afferma che si può solo delirare. Infatti, per l’Uno, per Dio, per la verità, anche il termine “indicibile” è indicibile. «Avanziamo dunque nel vuoto tesi al nulla stesso; infatti ciò che non è nemmeno uno, in verità, è nulla». L’essere e il nulla. L’essere è il nulla. È il nichilismo del tardo neoplatonismo. Malevič è questo, o almeno anche questo? La tradizione neoplatonica spinta anche fino all’esoterismo aveva lambito il romanticismo tedesco segnando autori molto presenti nell’area culturale russa tra l’Otto e il Novecento. È entrata tutta dentro l’ultima icona? Dentro il Quadrato nero, e lì è arrivata al suo grado zero, alla negazione anche di se stessa? Oppure questa icona non è l’ultima icona e la ritroviamo dislocata anche altrove? Ho già fatto cenno a Duchamp e a Fontana in cui certo non si esprime una tensione verso l’Uno, ma in cui c’è forse il dramma di non poter attingere al mondo, alla realtà che sembra sfuggire tra le dita. La ritroviamo in Georges Bataille che afferma il “non-sapere” e la necessità di accedere all’esperienza interiore per aver rapporto con la realtà. È nell’ostensione del sesso della sua Madame Edwarda una fenditura, anch’essa ferita metafisica, che dovrebbe dare accesso all’ulteriorità di Dio o della verità. Forse la ritroviamo nell’ostensione del volto nel pensiero di Emmanuel Lévinas, anch’essa intransitiva perché esprime una domanda che può avere una sola risposta. Forse ancora, in una versione completamente desacralizzata, ma ancora a mio giudizio drammatica, nella Marilyn di Andy Warhol.