La Lettura, 17 gennaio 2021
La comicità oggi secondo Gino Vignali
«Ridere adesso non è facile. È vero che siamo professionisti, ma è come un giocatore di tennis se gli togli i tornei: si allena ma lo spirito è diverso».
Il professionista è Gino Vignali, autore teatrale e televisivo, «papà» di Zelig e dell’agenda Smemoranda. «C’è – prosegue – una teoria del comico che dice che quando tutto intorno sta crollando è il momento ideale per far ridere: il cabaret tedesco esplose durante la Repubblica di Weimar, quando tutto intorno lasciava prevedere che stesse arrivando la sciagura. Ma un conto è la teoria, un altro la pratica».
Ci vuole coraggio per far ridere oggi?
«Più che di coraggio è una questione di voglia, conta lo stato d’animo. Viviamo un momento di attesa, quando si tirerà una riga e si tornerà a fare quello che si faceva prima, una della prime esperienze che inseguiremo sarà la risata. Di tutte le cose fatte in questo periodo il ridere è stata un po’ la grande rinuncia. Innanzitutto perché mancavano proposte comiche: il fatto che ci siano 200 film nei magazzini dei distributori cinematografici che non possono uscire, il fatto che i teatri siano chiusi, che le televisioni non facciano più varietà... tutto questo fa sì che, anche ammesso che ci fosse la domanda, l’offerta non sarebbe disponibile».
In questo periodo si sente creativo? Ha voglia di ridere e di far ridere?
«Il lavoro di un comico ha bisogno di atmosfere, non è meccanico: io ho bisogno di essere incazzato, oppure sereno. Adesso sono sì incazzato, ma è un’incazzatura senza sbocco. I più grandi pezzi di satira li fai quando ti arrivano dalla pancia, quando odi qualcuno, quando hai individuato il bersaglio, ma ora l’obiettivo non c’è: con chi te la prendi? Con Arcuri? Stiamo vivendo una situazione drammatica in cui l’avversario è il Covid, non una persona o un organismo che puoi vedere. Ciò non vuol dire che passi giornate o settimane o mesi senza ridere. Mi viene in mente che ridiamo è indicativo presente di ridere ma anche di ridare. Ridiamo la possibilità di ridere, è l’auspicio che si augura uno che fa il mio mestiere».
Le battute, i meme sui social, vanno alla grande...
«Faccio una premessa: è possibile che tutto ciò che ho detto sia legato all’età. Può essere che la visione di un vecchio su questo problema sia opposta o molto diversa rispetto a quella di un giovane. Detto ciò, le battute, i meme sono spiritosaggini; il comico professionista, se c’è una cosa dalla quale vuole girare alla larga è la spiritosaggine. La spinta alla comicità deve venire da dentro; la battuta, invece, finisce per essere fine a sé stessa, diventa barzelletta che va bene, magari funziona, fa ridere, ma è un’altra cosa, dietro c’è poco».
Poi aggiunge: «L’altra sera ho sentito un’intervista al ministro Speranza sulle fasce e le priorità nelle vaccinazioni. Si comincerà con gli over 80. Sa quanti sono in Italia? Quattro milioni e 400 mila. Tutti davanti a me, per il mio turno mi sa che devo aspettare parecchio. Come vede del Covid si può anche ridere».
Sente attorno a sé questa voglia di stare allegri?
«La voglia c’è ed è tanta. Come Gino&Michele siamo curatori di “StandUp”, una nuova collana di umorismo per Solferino, aperta da Maurizio Milani con La La Lambro; a seguire Paolo Rossi, Gene Gnocchi, Paolo Cevoli».
Una risata liberatoria alla faccia del virus...
«Una legge della comicità dice che se a qualcuno scappa da ridere in un momento drammatico è perché ha trovato qualcuno a cui dare la colpa. Così se qualcuno ride adesso è perché forse ha individuato il colpevole».
Si può ridere anche del dolore e della tragedia: nel film di Roberto Benigni “La vita è bella” la quotidianità di un campo di concentramento diventa un gioco; in “Train de vie” di Radu Mihaileanu un finto treno di finti deportati con tanto di ebrei travestiti da finti nazisti scorrazza allegramente per l’Europa.
«Sono operazioni coraggiose e delicate. Bisogna volare talmente alto che se lo possono permettere pochi: il rischio è di fare una cosa ai limiti della sgradevolezza».
Vivere aspettando il momento di tornare a ridere. È la prima volta che si trova in una situazione del genere nella sua vita professionale?
«Sì. Eppure la mia è una generazione che, tranne la guerra, le ha viste tutte: il terrorismo, le bombe, il dramma dell’eroina, l’Aids».
Come vi comportavate davanti a quei problemi?
«Probabilmente come si comportano i giovani adesso, con attenzione ma anche con molta sufficienza. C’era il fatto di non avere paura, perché a quell’età è come se quegli argomenti non ti riguardassero».
Ha mai posto limiti alla sua comicità?
«Non c’è una legge che fa girare i comici al largo da certi argomenti. Io stavo lontano dalla religione, dal Papa e robe così. Con Michele siamo partiti come coppia comica a Radio Popolare (storica emittente di sinistra, ndr) negli anni Settanta facendo satira sul ’68. Se c’era una cosa che allora non si poteva fare era quella».
Negli anni i confini di quello su cui si può scherzare e ridere si sono allargati o ristretti in Italia?
«C’era grande libertà ieri e c’è anche oggi, sono cambiati i canali: ora si sono allargati, chiunque può diffondere una battuta. E noi siamo un popolo di battutisti molto aperto a far ridere degli e sugli altri».
Il vostro bestseller «Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano» compie 30 anni.
«Già. Il primo libro è uscito nel gennaio del 1991; c’erano 540 battute e ha aperto la strada alla “saga” delle Formiche. L’anno scorso Baldini+Castoldi ha raccolto tutte le battute ne Il Formichetti come fosse il Mereghetti della comicità, in totale sono 7.820».
L’idea di un libro di battute allora fu innovativa.
«Era nato come un nostro divertimento a Zelig, volevamo proclamare la battuta del secolo, avevamo scelto cento battute e, senza firmarle, le avevamo sottoposte a cento addetti ai lavori. Finirono in un cassetto. Un giorno venne Oreste Del Buono appena chiamato alla Einaudi e disse: datele a me. Scoppiò un casino, non volevano pubblicarle, lui presentò le dimissioni, il libro uscì quasi clandestino. Morale: ha venduto un milione di copie e ha salvato l’Einaudi dall’amministrazione controllata».
La battuta vincente è quella che ora apre il libro.
«Era di un allora sconosciuto Walter Fontana, oggi autore per programmi di Fabio Fazio e della Gialappa’s Band. Dice così: Era un bambino presuntuoso e saccente. Quando la maestra di prima elementare gli chiese: “Ma tu credi in Dio?”, lui rispose: “Beh, credere è una parola grossa; diciamo che lo stimo”».