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 2021  gennaio 16 Sabato calendario

1QQAFA20 Le 100 poesie di Serianni


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Il verso giusto. 100 poesie italiane di Luca Serianni (Laterza) è un libro fondamentalmente orientato verso gli insegnanti e la scuola. E però, come cercherò di dimostrare ragionandone più avanti, ha valenze e rispondenze che rivelano radici profonde e s’insinuano peculiarmente nei campi storici e culturali corrispondenti. Ma per cercare di capire le due cose, e come si corrispondono e s’intersecano fra loro, non posso fare a meno di segnalare ai miei lettori come il libro è costruito, nella sua struttura e nelle sue molteplici relazioni. E dunque.Il verso giusto si fonda, da parte dell’autore, sulla scelta di cento poesie italiane, dalle origini ai giorni nostri (da Giacomo da Lentini, poeta siciliano del XIII secolo, a Enrico Testa, poeta ligure nostro contemporaneo). Dice il titolo: 100 poesie italiane. Tante sono quelle della scelta, tutte per intero riportate nel testo di Serianni. Ma siccome ci sono alcuni poeti che vengono considerati più importanti e significativi di altri, essi non saranno rappresentati da una sola poesia, ma da un numero maggiore, non però più di tanto (per citare i casi più significativi: Dante, sei; Petrarca, otto; e si capisce perché). Conclusione: le poesie sono cento; ma gli autori sono sessantatré. Su queste cento poesie-sessantatré autori Serianni costruisce il suo discorso – linguistico, stilistico, semantico – sullo svolgimento della poesia lirica nella nostra penisola dalle origini ai giorni nostri. Ogni poesia- autore è preceduta da una breve ma molto densa introduzione alle questioni di ordine generale che quel testo presenta e da una ricca introduzione al testo medesimo. Al testo seguono le note, prevalentemente linguistiche, ma non prive di agganci con la storia culturale del tempo.Di fronte ad un’opera-operazione di questa natura la domanda che si presenta per prima, spontaneamente, è: in base a quali criteri Serianni ha deciso le scelte orientative in base alle quali ha operato una scelta di questa portata – cento poesie a fronte di alcune migliaia di testi probabilmente altrettanto possibili – e ha messo in piedi con risultati indubbiamente logici e discorsivi il proprio discorso?La risposta non è difficile perché ce l’ha esplicitata nella maniera più chiara lo stesso Serianni, il quale nell’"Introduzione” in esordio scrive: «La scelta è dipesa in una certa misura dal gusto personale dell’antologista» (ritorneremo su quel: «in una certa misura»). Che cosa questo possa significare è lo stesso Serianni anche in questo caso a spiegarcelo: «Arrivando in pieno Novecento, la scelta si è fatta non solo più difficile, ma, obiettivamente, più discutibile. Metto subito le mani avanti: sono più sensibile alla linea che è stata definita con un’etichetta non felice... “anti novecentista” e ho sacrificato del tutto sperimentalismo e avanguardia. Anche così restano fuori poeti che avrebbero potuto far parte del mio personale canone (Cardarelli, Sereni, Bertolucci, Giudici, Milo De Angelis...)». Cioè (se non ho capito male): non c’è Sanguineti ma non ci sono neanche Sereni o Bertolucci?Inseguendo i fantasmi del «condizionamento delle mie propensioni (o anche incompetenze) di lettore» (più avanti nello stesso testo Serianni), e allargando il discorso anche ad altri periodi storici, ci si potrebbe chiedere perché nelle “cento poesie” non troviamo un Michelangelo o un Pietro Bembo; o poetesse cinquecentesche come Vittoria Colonna o Veronica Franco, le quali avrebbero potuto allargare anche la rappresentanza femminile, ora piuttosto limitata (limitata anche nel Novecento, dove di nomi autentici e giustamente rappresentativi se ne sarebbero potuti trovare di più rispetto a quelli che ora leggiamo).Ma adottare questo criterio per giudicare l’opera, ed eventualmente servirsene – anche se l’autore stesso, ripeto, sembra suggerircene la tentazione (il «gusto personale dell’antologista...») – s arebbe gravemente scorretto e ci farebbe perdere quel che di positivo e di sollecitante l’operazione antologizzante di Serianni comporta.Questa operazione è fondata su criteri assolutamente chiari e indiscutibili, che appunto perciò producono un risultato dotato della maggiore coerenza. Serianni sceglie testi dotati d’indiscutibile e comprovato fondamento storico, che appunto perciò possono al tempo stesso rappresentare con evidenza il percorso complessivo della vicenda poetica italiana. Se mi è consentito – perché forse il riferimento apparirà al lettore meno evidente di altri – io trovo che che l’identità forma-paese sia particolarmente evidente in quello snodo, difficile e problematico, che sta fra due momenti della vicenda poetica nazionale, fra tardo Cinquecento, per intenderci, e seconda metà del Settecento: uno snodo che, secondo la tradizione, sarebbe caratterizzato da confusione e decadenza, e che invece, come gli autori qui prescelti, dimostrano, sembrerebbe contraddistinto dalla faticosa ma tutt’altro che inconsapevole ricerca di tematiche e soluzioni stilistiche adeguate ad esprimere la “medietà nazionale” del tempo: Chiabrera, Marino, Dotti, Sempronio, Ciro di Pers, Lubrano, Redi, Metastasio, Rolli, Maratti Zappi, Manfredi, Vittorelli... per intenderci, tutti qui rappresentati.Ma non si potrebbe dire altrettanto della scelta abbastanza insolita di testi con cui vengono presentati due poeti di grande rilievo nazionale come Carducci e Pascoli – anche loro, si potrebbe dire (ma certo con un’identità personale molto più elevata), a far da tramite fra due momenti molto diversi della vicenda poetica italiana – con scelte volte più all’intimistico-personale che allo storico-rappresentativo?Se si segue questo duplice criterio di singolarità e rappresentatività – che secondo me è quello che ispira effettivamente l’autore della scelta – ci si può mettere nella condizione intellettuale di apprezzare di più, e anche più criticamente, se si vuole, questo lungo percorso, che fa della poesia italiana nel tempo una delle espressioni più significative del rapporto umano con il mondo. Si veda, ad esempio, per avere una conferma di queste affermazioni, la scelta abbastanza singolare di testi di Leopardi, tutto proiettato anche lui – al massimo livello possibile, s’intende – verso questa eccezionale corrispondenza d’identità personale e di significazione storica. Basti pensare che, fra le molte, moltissime scelte possibili Serianni raccoglie qui e interpreta Le ricordanze, Il canto notturno e il sinteticissimo, genialissimo e conclusivo A se stesso. Vuol dire, se non erro, che le due cose stanno nella testa dell’autore antologizzante, prima che nei testi dei suoi autori. Una lettura sufficientemente sistematica – anche se non ossessiva!– del libro dovrebbe portare a un livello di comprensione e approfondimento del testo molto più elevato del punto di partenza. Si può dire, senza ombra di dubbio, che sia il risultato più alto che ci si possa aspettare da un’operazione antologica come questa.