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 2021  gennaio 16 Sabato calendario

Fitoussi "L’interesse dell’Ue è che l’Italia esca dalla crisi accettando di ricorrere al Mes"


ROMA – «Alla fine probabilmente l’Europa ce la farà a rendere operativo il piano Next Generation.
Il problema sono i tempi: già si procedeva con esasperante lentezza mentre la pandemia morde senza pietà, ora quest’ennesimo bastone fra le ruote rappresentato dalla crisi italiana rallenterà ulteriormente il processo». Jean-Paul Fitoussi, classe 1942, guru di quella culla del pensiero liberal-illuminista che è l’accademia parigina Sciences Po, studia da una vita il coordinamento dello sviluppo in Europa. Ora assiste sconcertato all’impasse che minaccia di compromettere un lavoro comune sofferto quant’altri mai. E per colpa dell’Italia, Paese che Fitoussi conosce bene perché insegnaeconomia internazionale alla Luiss. «È imperdonabile che proprio dal maggior beneficiario del progetto arrivi questo colpo all’integrazione».
Professore, è riuscito a trovare un senso a questa crisi?
«Un inspiegabile masochismo. Le energie dovrebbero concentrarsi sulla crisi sanitaria ed economica, non deve esserci spazio per gli ego. È un meccanismo autolesionista analogo al mancato accesso al Mes: ma come, anche lì l’Europa fa uno sforzo impensabile di solidarietà, azzera qualsiasi condizione, e l’Italia rifiuta? Accettare quei finanziamenti significa sostituire debiti che hanno un costo con altri che sono gratis, e – visto che la sanità ha comunque bisogno di investimenti – liberare risorse da destinare ad altre urgenze».
Sul Recovery Plan italiano, lei esclude che ci fossero tali e tante pecche da giustificare questa levata di scudi?
«Certo che no, c’erano certamente errori sia nel merito che nella governance, così come dei ritardi.
Ma si dovevano risolvere diversamente. Imperfezioni ci sono in tutti i piani nazionali, compreso quello francese visto come esempio.
Va sfatato il mito dell’efficienza burocratica di Parigi: anche qui ci sono lungaggini e malfunzionamenti. Semmai la Francia ha fatto una cosa buona avviando gli investimenti senza aspettare i fondi: certo, è importante che questi alla fine arrivino».
Insomma, la Ue è in ritardo non, o non solo, per colpa dell’Italia?
«Qualsiasi iniziativa comunitaria incontra difficoltà epocali nel passare all’attuazione. Il fatto che i fondi arriveranno un anno e mezzo dopo l’inizio dalla crisi, se tutto va bene, lo dimostra. L’Europa è lenta per definizione e c’è sempre qualcuno pronto a cogliere la minima occasione per boicottare tutto. Non è il caso di offrigli argomenti su un piatto d’argento, perché questi verranno ingigantiti strumentalmente a dismisura.
Oltretutto il Next Generation è importante ma non sufficiente a risolvere la crisi: in America l’amministrazione ha impegnato 3mila miliardi di dollari, il doppio dell’Europa, e Biden si accinge a stanziarne altri 1900».
Lei ha scritto un libro, “Il teorema del lampione”, in cui paragona l’Europa al viandante che smarrisce qualcosa e lo cerca solo sotto il fascio di luce senza allargare lo sguardo. Stavolta è andata al contrario?
«È un grande salto culturale.
Finalmente con l’ampliare la capacità di spesa si è usata la fantasia finanziaria, al contrario della ricetta adottata nella crisi di dieci anni fa che aggravò, almeno inizialmente, la situazione. Vi rendete conto? La Germania che accetta gli eurobond, favorisce l’Italia, difende con le unghie questa scelta... È il caso di rischiare che tutto finisca alle ortiche?»