La Stampa, 16 gennaio 2021
Primo agente condannato per il reato di tortura
Accadde nel carcere di Ferrara, tre anni fa. Un gruppo di tre agenti della polizia penitenziaria si accaniscono contro un detenuto durante una perquisizione. L’uomo sconta la pena per omicidio. E gli agenti, non si sa il perché, lo prendono di mira. Pugni, calci, umiliazioni. Lo hanno costretto a denudarsi. E giù altre botte. Dopo il pestaggio l’hanno lasciato dolorante a terra e in manette.
Ieri, per l’agente Pietro Licari, che aveva scelto il rito abbreviato, è arrivata una condanna in primo grado a 3 anni. È stato riconosciuto colpevole di lesioni e di «tortura», avendo agito «con crudeltà e violenza grave». Ora arriverà il processo anche per altri due agenti della Penitenziaria, accusati anch’essi del pestaggio, e per un’infermiera, accusata di falso e favoreggiamento. Aveva accreditato la versione di un incidente mentre il detenuto era solo in cella.
«La condanna, seppure in primo grado, – commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, un’associazione a difesa dei diritti dei detenuti – mostra come la giustizia italiana sia rispettosa dei più indifesi. Si tratta di una sentenza che segnala come nessuno è superiore davanti alla legge. La legge vale per tutti, cittadini con o senza la divisa. È questo un principio delle democrazie contemporanee».
Antigone si è battuta negli anni scorsi per l’introduzione nel nostro ordinamento di questo reato. Una sua campagna, «Chiamiamola tortura», aveva raccolto oltre 55.000 firme. Si era scontrata però con una forte opposizione da parte del centrodestra e dei sindacati degli agenti. «Possiamo dirlo: la tortura in Italia esiste, purtroppo viene praticata, ma ora viene anche punita».
L’associazione non gioisce per la prima condanna. «Perché non si gioisce mai per una condanna. Ma affermiamo comunque che la decisione di oggi ha un sapore storico. In passato fatti del genere cadevano nell’oblio». La stessa Antigone teme però un riflesso corporativo. E quindi conclude: «È importante che tutti gli agenti di Polizia penitenziaria si sentano protetti da una decisione del genere, che colpisce solo coloro che non rispettano la legge».