Il Messaggero, 16 gennaio 2021
Una Divina Commedia lunga 97 metri
Il silenzio della neve apprezzato in Lapponia, la meraviglia dell’aurora boreale osservata in Groenlandia, le lunghe giornate da solo in Finlandia: c’è qualcosa di epico nel viaggio intrapreso da Enrico Mazzone, classe 1982, cinque anni fa, quando, lasciata la sua città natale, Torino, per il Nord Europa, si è trovato inaspettatamente a riscoprire la Divina Commedia di Dante. E a dedicarle anni di vita, ore e ore di lavoro indefesso, a tratti sofferto, sdraiato su una bobina di carta di 97 metri per 4 per creare una monumentale opera dedicata al capolavoro dantesco, tra personaggi ai quali restituire un corpo, seppure a due dimensioni, e nuove visioni con le quali contaminare la narrazione, in una sorta di dialogo tra Alighieri e un moderno pellegrino. Un progetto artistico e filosofico, concettuale ma anche profondamente fisico nello sforzo per la sua concretizzazione. E ora, nel settecentesimo anniversario della morte di Dante, decisamente attuale.
LA STORIAE sì che tutto è nato quasi per caso. «Nel 2015 – racconta Mazzone – volevo allontanarmi per un po’ da Torino e sono partito per l’Islanda, dove ho lavorato un anno come aiuto cuoco. Un iter totalmente diverso dal mio: ho frequentato la Reale Accademia Albertina di Belle Arti, specializzandomi in scenografia. Nel 2009 avevo fatto richiesta per una residenza artistica a Rauma, in Finlandia, ma il programma era completo, mentre ero a Reykjavik, a sorpresa, mi hanno invitato a partecipare». Così Mazzone ha seguito il destino: per tre mesi è stato a Rauma, per due, con una nuova residenza artistica, in Groenlandia, poi di nuovo a Rauma, dove per otto mesi ha lavorato come decoratore, fino a quando il suo progetto è stato sposato dal Comune.
L’ISPIRAZIONEEd è proprio qui che sono arrivati ispirazione e mezzi. «Ho visitato una cartiera, i direttori, incuriositi dal mio interesse d’artista, mi hanno mostrato una bobina di novantasette metri che non usavano e mi hanno invitato a prenderla per farne qualcosa. Ho accettato la sfida. Poi un giorno, mentre facevo jogging, guardando alcuni alberi, mi è tornato in mente il canto della Divina Commedia con Pier della Vigna. Non avevo l’idea di dedicarmi a Dante quando ho lasciato Torino, ma in quel momento ho deciso di farlo». Per anni, cambiando residenza e studio più volte, facendo viaggi pure di venti ore per raggiungere altre città dove raccontare il progetto – «Era anche un modo per promuovere Rauma, la mia maniera di ringraziare» – Mazzone ha trascorso tra le 10 e le 14 ore al giorno a lavorare.
LA TECNICA«Ho iniziato disegnando su fogli alcune sequenze fino a costruire una cronostoria. Poi l’ho realizzata sulla bobina. L’opera ha un taglio vagamente rinascimentale ed è disegnata in modo certosino, con la tecnica del puntinismo, a creare l’effetto di una incisione. Ho utilizzato finora seimila matite, rappresentando le suggestioni per me più significative, usando le mie emozioni per rileggere la Divina Commedia anche con richiami alla quotidianità». Ecco allora il dialogo tra Dante e Mazzone, e una selva oscura pure di attualità. La pandemia non ha fermato l’artista che, tornato in Italia, si è messo a lavorare a Ravenna. «È stato grazie all’interessamento di Vittorio Sgarbi. Mi ha presentato i mecenati Beatrice Bassi e Leonardo Spadoni, che mi hanno dato l’opportunità di operare al Mercato Coperto, per consentire alla gente di vedere ciò che stavo facendo. A febbraio tornerò a Torino. Il lavoro è pressoché ultimato. Sto componendo delle quartine, in uno stile che richiami Dante. Le inserirò tra le figure, su pentagramma, per trasformare le parole idealmente in musica».
Terminato il viaggio d’artista, inizia quello dell’opera. «Ancora grazie a Sgarbi, il lavoro sarà oggetto di una mostra itinerante. Toccherà più città, non sappiamo ancora quale sarà la prima. Forse Ravenna o Torino, alla Venaria Reale o al Lingotto. Spero di inaugurare per il Dantedì, il 25 marzo. L’allestimento sarà su un ciclorama dell’architetto Mauricio Cardenas Laverde. La gente potrà entrare e confrontarsi con le varie figure. E potrò farlo, per la prima volta, perfino io che finora l’opera l’ho sempre vista, sdraiato, mentre la realizzavo. Inoltre, a febbraio sarà effettuata la sua digitalizzazione. L’intento è portarla nella realtà virtuale, forse anche con ologrammi». E ora? «Mi guiderà la curiosità. Non penso di andare lontano. D’altronde, qui ho tutto da riscoprire».