la Repubblica, 15 gennaio 2021
In nome del padre. L’Italia è l’unico Paese in cui è impossibile dare solo il cognome della madre
ROMA — Dopo il traguardo della prima presidente donna, la Corte costituzionale potrebbe superarne un altro nella conquista della parità tra uomo e donna. Sul cognome. Nel senso, se nasce un bambino, di non attribuirgli automaticamente quello del padre. Perché, in ossequio alle vestigia di una società patriarcale, da sempre succede così. E invece ecco aprirsi lo spiraglio, ma forse ben più di questo, per una conquista storica. Poter scegliere se dare a un figlio il nome del padre o quella della madre. Tutti e due sullo stesso piano. Senza le gerarchie obbligatorie che finora hanno, in base alle leggi e ai codici, assegnato la primazia al cognome del padre. Salvo il contentino apertosi nel 2016, e sempre per merito della Consulta, di riconoscere almeno il doppio cognome.Ma da ieri la questione è nelle mani di Giuliano Amato, sì, proprio lui, il Dottor Sottile, giudice della Corte operoso e produttivo, e stavolta relatore della questione che può portare alla parità tra cognome paterno e materno. Sarà proprio Amato a impostare quella che si configura come una sentenza rivoluzionaria. Perché ieri la Consulta ha deciso di guardare oltre rispetto a un ricorso giunto da Bolzano e che riguardava proprio il diniego alla possibilità di dare al proprio figlio, nato fuori del matrimonio ma riconosciuto da padre e madre, il cognome di quest’ultima. La motivazione fa sorridere, perché in tedesco quel cognome materno suona meglio legato al nome di battesimo rispetto a quello paterno. Ma tant’è. Il caso c’è tutto. La Corte avrebbe potuto decidere, ma non lo ha fatto. Ha voluto fare un passo in più.Ha deciso di aprire davanti a se stessa la questione della costituzionalità dell’articolo 262 del codice civile che attribuisce tuttora la prevalenza obbligatoria del cognome paterno su quello materno. Tutti d’accordo i 15 giudici su quest’avventura, perché non capita tutti i giorni che la Consulta decida da sé di verificare l’effettiva costituzionalità di una norma. Ma c’è da scommettere che avrà pesato non solo un presidente come il neo eletto Giancarlo Coraggio che, un minuto dopo il voto dei suoi colleghi, ha rivolto un “mi manchi” a Marta Cartabia, appunto la prima presidente donna. Ma anche, ormai, la presenza tra i giudici di ben quattro donne, Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Emanuela Navarretta, Maria Rosaria San Giorgio.Che può succedere? La Corte va oltre il caso concreto che avrebbe potuto affrontare ieri. Ma si sarebbe fermata di fronte alla coppia che fa un figlio fuori del matrimonio, lo riconosce, discute del nome, e scopre che non può dargli, per legge, solo quello materno. Eppure, nel 2014, pure la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia per quella che considerava una discriminazione. Tutta italiana, perché in altri Stati europei non esiste. Il Parlamento, la politica, avrebbero potuto porre riparo, ma non lo hanno fatto, dividendosi su una dozzina di proposte di legge. E siamo a oggi, alla Corte che potrebbe prendere una decisione sollecitata da centinaia di associazioni e da migliaia di donne. Far cadere l’obbligo e il privilegio del cognome per forza paterno e aprire la via a quello materno. Una rivoluzione costituzionale. Se volessero, le Camere potrebbero essere ancora in tempo per tagliare prima il traguardo. Ma c’è da scommettere che non lo faranno.