La Stampa, 15 gennaio 2021
Kaja Kallas, la nuova premier dell’Estonia
L’ultima ad aggiungersi alla lista potrebbe essere Kaja Kallas, leader del partito Riformatore in Estonia, che ieri ha ricevuto l’incarico di formare un esecutivo. E la lista è quella dei governi dei Paesi Nordici guidati da donne: sei su otto. Loro sono regola, lo svedese Stefan Löfven e il lettone Arturs Krišj?nis Kari?š l’eccezione.Nel 2019 la formazione liberale aveva vinto le elezioni in Estonia con il 29%, ma la sua leader non era riuscita a mettere insieme una coalizione. E così l’uscente Jüri Ratas, con il sostegno dei conservatori di Isamaa e dei nazionalisti di Ekre, era stato riconfermato. Ma nei giorni scorsi il premier è caduto sotto i colpi di uno scandalo di corruzione: dopo le dimissioni, la presidente Kersti Kaljulaid ha chiamato la leader dell’opposizione per affidarle il compito di dare vita a un governo, il primo nella storia estone guidato da una donna. Kallas, ex eurodeputata di estrazione liberale, è figlia di Siim Kallas, ex premier ed ex commissario Ue nella squadra di José Manuel Barroso.Ha 14 giorni di tempo per guadagnarsi la fiducia del Parlamento e di conseguenza una sedia al tavolo del Consiglio europeo. Un club dove le cravatte sono ancora in netta maggioranza, anche se con lei le donne nella stanza potrebbero diventare cinque: oltre a Ursula von der Leyen e Angela Merkel ci sono le altre due nordiche Sanna Marin (finlandese) e Mette Frederiksen (danese). La prima guida da poco più di un anno un governo criticato da alcuni politologi perché irrispettoso della parità di genere: ci sono troppe donne, 12 su 19 ministri. Gli uomini non raggiungono il 40%. L’esecutivo è frutto di una coalizione di cinque partiti e tutti hanno una guida al femminile. La squadra capeggiata dalla leader socialdemocratica è stata elogiata per la gestione dell’emergenza Covid. Non sono però mancati gli scivoloni: in estate ministra dell’Economia, Katri Kulmuni, aveva pubblicato su Instagram un sondaggio a dir poco discutibile, nel quale chiedeva ai suoi fan se fosse giusto far tornare in Finlandia le mogli e i figli dei foreign fighters.Ai tavoli europei Sanna Marin ha fatto fronte comune con la collega danese, entrambe socialdemocratiche, all’interno del club dei Frugali che ha cercato fino all’ultimo di stoppare il Recovery Fund. È successo durante il vertice del luglio scorso, appuntamento che aveva costretto Mette Frederiksen a spostare per la terza volta la data del suo matrimonio. Al governo dal giugno del 2019, la premier si era subito scontrata con Donald Trump: il presidente Usa aveva annullato la sua visita in Danimarca, offeso perché lei si era rifiutata di vendergli la Groenlandia. In questi anni ha fatto molto parlare di sé anche per le sue posizioni anti-globalizzazione e soprattutto anti-migranti.Pur guidando un Paese Ue, non siede al Consiglio europeo la lituana Ingrida Simonyte, che da novembre è leader di un governo composto per metà da donne (a Bruxelles ci va il presidente della Repubblica). È invece contenta di starsene fuori dall’Unione l’islandese Katrin Jakobsdóttir, ambientalista e fervente anti-militarista: fosse per lei, Reykjavik dovrebbe uscire dalla Nato. Chiude il cerchio Erna Solberg, soprannominata “la Merkel della Norvegia”, al potere ininterrottamente dal 2013. Un paio di anni fa hanno fatto discutere le sue prese di posizione in favore di un inasprimento della legge sull’aborto.