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 2021  gennaio 14 Giovedì calendario

I 100 anni della partigiana Marisa Rodano (intervista)


Marisa Rodano, qual è l’episodio dei suoi cent’anni che ricorda con più frequenza?«Sono due.L’incontro con mio marito, Franco Rodano, e la sua morte».Dove l’ha conosciuto?«Al liceo Visconti, prima della guerra. Eravamo compagni di classe. Alla fine delle lezioni tornavamo a casa insieme. Poi iniziammo a frequentare una congregazione mariana in via del Seminario, La Scaletta, sotto la guida di un vecchio sacerdote antifascista, don Felice Mirabilia. E lì scoprimmo un clima diverso rispetto a quello che si respirava a scuola».Cosa la fece innamorare di lui?«Vattelapesca! Succede».Che rapporto è stato?«Un grande amore. Era colto, intelligente, pieno di interessi, badava persino ai bambini nel box mentre io andavo in giro a fare politica».Lei è nata il 21 gennaio 1921, lo stesso giorno del Pci, a cui ha poi dedicato buona parte della sua vita.«Sì, ed è una singolare coincidenza e infatti quel giorno lo passavo sempre nelle sezioni: festeggiavo l’anniversario del partito più che il mio compleanno».Che famiglia era la sua?«Borghese. Papà era podestà a Civitavecchia, faceva l’armatore e in più aveva delle proprietà. In parte viveva di rendita. Mamma conduceva la vita delle signore dell’epoca: si riuniva con le amiche e giocava a canasta».E lei, da cattolica, perché invece diventa comunista?«Quando Togliatti tolse la pregiudiziale nei confronti di chi non era marxista leninista il Pci mi sembrò la scelta migliore per ricostruire il Paese in senso democratico».Che ricordo ha del fascismo?«Mi dava fastidio dover indossare la divisa. Non amavo le sfilate in via dell’Impero o i saggi allo stadio dei Marmi. Era un regime oppressivo che controllava la posta e vietava di discutere liberamente».E della guerra?«Ricordo i bombardamenti. Ci si nascondeva nei rifugi, che poi erano delle cantine, dove aspettavamo il segnale di fine attacco».Nella primavera del 1943 perché lei e Franco Rodano venite arrestati?«Ci tradì un operaio di una tipografia. Eravamo all’università, dove sin dal 1939 avevamo organizzato una rete antifascista. Franco finì a Regina Coeli ed io alle Mantellate. Vi rimanemmo tre mesi. Ci liberarono dopo la caduta del regime, il 25 luglio».Perché ha scelto la lotta partigiana?«Perché bisognava combattere il nazifascismo, la guerra».Ma non tutti lo fecero.«Sì, ma ci parve la scelta più giusta.Cominciammo a gettare i chiodi a tre punte sulle strade dove passavano i mezzi della Wehrmacht, diffondevamo manifesti e cercavamo di aiutare le famiglie dei dirigenti antifascisti che vivevano alla macchia».Come passaste i mesi in clandestinità, fino alla liberazione di Roma?«Nascondendoci, cambiando continuamente casa, le ultime settimane ai Castelli romani».Durante quei mesi fate un figlio. Non è incredibile considerato ilpericolo?«A me sembra normale invece.Quando si è giovani non ci pensi, vuoi guardare a vanti».E l’ha chiamato Giaime, come il grande intellettuale antifascista Giaime Pintor.«Sì, eravamo molto amici. Era intelligente e simpatico. Morì dilaniato da una mina mentre cercava di raggiungere Roma dall’Italia liberata”.Quanti figli ha?«Cinque, undici nipoti e non so quanti pronipoti».I suoi genitori si opposero alla scelta di entrare nel Pci?«Mah, era il 1946, e c’era poco da opporsi, da tempo avevo rotto con la famiglia. La frattura si ricompose più tardi, con l’arrivo dei nipotini».Perché costituiste il movimento dei cattolici comunisti?«Perché volevamo un movimento percombattere il fascismo».Suo marito dopo l’adesione al Pci venne perfino interdetto.«All’epoca quando uno aveva 18 o 20 anni ci si staccava dalla famiglia e in quegli anni c’era un grande fervore tra i giovani, una grande voglia di cambiare le cose».Che ricordo ha di Togliatti?«Di una persona affascinante, coltissima. Ero tanto amica di Nilde Iotti, la conobbi prima che si mettessero insieme, andavamo a comprare insieme delle stoffe per confezionare i vestiti».Lei entra in Parlamento nel 1948. Che Italia era?«Divisa dallo scontro tra democristiani e l’area dei socialisti e dei comunisti. Ma si respirava un entusiasmo incredibile, perché c’era da ricostruire tutto».Perché, nel 1963, scelsero lei come prima donna vicepresidente della Camera?«Ah, sa che non lo ricordo più, credo fosse un’idea di Pietro Ingrao».È ancora di sinistra?«Non ho mai cambiato idea. Però manca una classe dirigente degna di questo nome, ognuno pensa alla propria carriera piuttosto che mettersi a servizio di un progetto di cambiamento».Suo marito fu uno dei teorici del compromesso storico di Berlinguer.«Con Enrico c’era un buon rapporto, sapeva essere anche molto simpatico, la sua morte fu un dispiacere grandissimo».Che vita è stata la sua?«Ricca, piena di cose e molto varia».E come guarda ai suoi 100 anni?«Veramente non li guardo». ( Ride) Non guarda indietro?«Poco. Se uno vive troppo il passato perde il contatto col presente. Ho sempre cercato di guardare al futuro».Che consigli dà a una giovane donna?«Di non farsi risucchiare in uno stereotipo vecchio, tutta casa e famiglia, ma di spendere le proprie capacità nei campi che più le interessano».Quanto fuma?«Un pacchetto al giorno. Ho iniziato in terza liceo. Tempo fa avevo smesso per un anno, ma a Capodanno ho ripreso peggio di prima. Credo di essere una buona réclame per i fumatori».Quando morì suo marito?«Nel luglio del 1983. Eravamo in campagna nelle Marche, e lui spirò all’improvviso. Un dolore terribile. Se n’è andato troppo presto».E a lei la morte fa paura?«La sento vicina, ma spero di andarmene nel sonno».