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 2021  gennaio 14 Giovedì calendario

Quei 58 pentiti che hanno portato la ’ndrangheta in tribunale

Elicotteri che volano bassi. Auto e camionette di polizia, guardia di finanza, carabinieri, persino l’esercito a presidiare il perimetro. Nel giorno di inizio del processo Rinascita Scott, la zona industriale di Lamezia Terme si sveglia blindata. «Che gli imputati vengano giudicati in Calabria, dove i reati sono stati commessi, è importante. È un segnale», dice il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, fra i primi ad arrivare in quella sala che fino a qualche mese fa era solo un vecchio call center ed è diventata un’aula bunker modernissima. L’unica in grado di ospitare un processo che alla sbarra vede 325 imputati. La maggior parte di loro in aula non c’è. I loro volti si affacciano dagli schermi che mostrano i collegamenti in corso con le carceri di mezza Italia. Ma il loro peso si sente comunque, perché a giudizio la procura antimafia di Catanzaro ha portato il gotha della ?drangheta vibonese. In tutte le sue sfaccettature che 58 collaboratori sono pronti a raccontare. A partire da Emanuele Mancuso, primo pentito dell’omonima cosca che dell’inchiesta Rinascita Scott è il centro. Perchè sono i Mancuso ad aver saputo ricondurre a sistema tutte le anime dei clan, organizzarle, gestirne le liti o a convenienza esacerbarne i conflitti per comandare sempre e comunque. Sono i Mancuso che da Limbadi, territorio cerniera fra la Piana di Gioia Tauro e il Vibonese, hanno scalato la gerarchia mafiosa fino ad entrare di diritto nell’élite dei clan. Hanno imparato a farsi massoneria, hanno usato le logge per accedere a canali politici, istituzionali e imprenditoriali senza nascondere mai la propria natura, la propria ferocia, le fonti sporche delle proprie ricchezze. Anzi, usandole come leva per diventare interlocutore necessario. Tale era il boss Luigi Mancuso per l’ex senatore di Forza Italia, poi passato a Fdi, Giancarlo Pittelli. In tutto e per tutto un consigliere del boss al corrente – e con facoltà di indirizzo – su tutte le strategie criminali del clan, sostiene la procura, che lo accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Non è l’unico colletto bianco finito a giudizio in un processo che vede imputati decine di amministratori locali, avvocati, professionisti, uomini delle forze dell’ordine. «Rinascita Scott – dice Gratteri – serve a capire anche l’evoluzione di una mafia che spara sempre meno ma trova sempre più facile penetrare in ceti sociali inimmaginabili tempo fa. Dovremo metterci attenzione e concentrazione maggiore, anche considerato l’alto numero di imputati». E l’altrettanto alta probabilità di incompatibilità. Perché il distretto è piccolo, la densità mafiosa spaventosa e non è difficile che un giudice si sia già trovato ad esprimersi su uno degli innumerevoli clan coinvolti. È il motivo per cui la Corte d’appello ha accolto l’istanza con cui la procura ha ricusato la presidente Tiziana Macrì, che ieri ha deciso di astenersi. Lo stesso hanno fatto gli altri componenti del collegio. «Abbiamo perso un mese» mastica amaro il procuratore, che invita a fare in fretta perché le cosche hanno tutto l’interesse a dilatare i tempi e far scadere i termini di custodia cautelare, per poter uscire dal carcere. C’è stata una vera e propria riunione per discutere questa strategia, afferma il procuratore, anticipando le rivelazioni di un nuovo pentito, Gaetano Cannatà. Anche per questo, aggiunge, bisogna riunire in un unico troncone tutti gli stralci in cui il procedimento si è spezzettato, a partire da quello che vede imputato l’ex senatore Pittelli. Al riguardo la giudice Macrì ha deciso di non pronunciarsi. Tutto è rinviato al 19 gennaio, quando toccherà al nuovo collegio valutare.