Corriere della Sera, 14 gennaio 2021
Nel futuro repubblicano 4 governatori e il nodo Ivanka
Washington Quattro outsider, in realtà trumpiani ripuliti, per ripartire. Nel Partito repubblicano, diviso, traumatizzato dai tumulti del 6 gennaio, si prova a guardare avanti. Hanno suscitato grande attenzione le parole attribuite dal New York Times a Mitch McConnell, il leader dei conservatori al Senato. Di solito imperscrutabile, McConnell si sarebbe lasciato andare: «Sono contento che i democratici abbiano avviato l’impeachment; in questo modo potrebbe essere più facile spurgare il partito dalla presenza di Trump». Non ci sono conferme e vedremo se, al momento decisivo, McConnell voterà davvero per condannare il presidente in carica, quando il processo approderà nella Camera Alta.
È vero, però, che nel partito «la questione Donald» si è aperta già all’indomani della vittoria di Joe Biden. Poi due mesi di campagna incendiaria e costruita sul nulla hanno portato alla sconfitta nei ballottaggi in Georgia, decisivi per il controllo del Senato. L’assalto a Capitol Hill, infine, ha accelerato e drammatizzato il confronto.
Spiega Grover Norquist, 64 anni, fondatore dell’Americans for tax reform, uno dei più importanti think tank di Washington, la sponda tecnica che ha messo a punto la riforma fiscale del 2017: «Il partito repubblicano non è una struttura personalistica, non è Forza Italia di Berlusconi. Stiamo entrando in una nuova fase. Si tornerà a guardare ai contenuti, a quello che succede sul territorio. I repubblicani hanno 27 governatori su 50. La nuova leadership potrebbe maturare da queste esperienze».
Certo, il mondo conservatore deve fare i conti con il consenso, le risorse organizzative accumulate da Trump. La strategia, dunque, sarebbe quella di mantenere la continuità sui contenuti del trumpismo su tasse, imprese, immigrazione, «spurgati», come dice McConnell, da un leader impresentabile. A Washington da qualche settimana circola una lista inedita con quattro nomi per le primarie repubblicane del 2024. Sono, appunto, governatori: Ron DeSantis, 42 anni, Florida; Greg Abbott, 63 anni, Texas; Kristi Noem, 49 anni, South Dakota; Doug Ducey, 56 anni, Arizona. Sono tutti accesi sostenitori di Trump. O almeno lo sono stati fino a un minuto fa. Lo hanno sempre spalleggiato, anche nell’approccio alla pandemia. Abbott e DeSantis, in particolare, hanno a lungo sbeffeggiato la mascherina, pur di compiacere il boss della Casa Bianca.
I quattro sarebbero degli esordienti sulla scena nazionale e andrebbero ad aggiungersi all’elenco di candidati finora più gettonato: il vicepresidente Mike Pence, il segretario di Stato, Mike Pompeo, l’ex ambasciatrice Onu Nikki Haley, i senatori Ted Cruz (Texas) e Josh Hawley (Missouri). Si potrebbe pensare che questo schema presupponga l’uscita di scena di Trump. Magari perché condannato dal Congresso o perché incriminato dalla Procura generale di Washington per «incitamento all’insurrezione». In realtà la leadership del partito sarà in gioco anche se Trump dovesse rimanere in campo: i quattro governatori, dicono nella capitale, si candideranno comunque. Così come Haley, Cruz e Hawley.
Resta, poi, l’incognita Ivanka. La figlia prediletta del presidente, 39 anni, cercherà di mantenere intatte le sue smisurate ambizioni. Ma ora con una deviazione. Nel ‘22 o nel ‘24 potrebbe candidarsi per un seggio al Senato, provando a capitalizzare quello che resta del patrimonio politico del padre. Poi si vedrà.