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 2021  gennaio 14 Giovedì calendario

Il bestiario della crisi


Se Renzi fosse un animale sarebbe… lo scorpione della favola di Esopo, che punge la rana anche se così affonda pure lui. È riuscito nel suo primo obiettivo: ha messo in crisi il governo e lo ha costretto a cambiare il Recovery plan. Ma, strada facendo, ha anche ricompattato Pd e Cinquestelle intorno al premier, oggi più difficile da raggiungere con il suo pungiglione. Per il «rottamatore» Conte si è finora rivelato un osso più duro di Enrico Letta. Però ha riconquistato centralità: ormai soffriva nello schema di gioco che lui stesso aveva inventato con il governo giallo-rosso; calo nei sondaggi e marginalità lo hanno indotto a cambiare tattica. Che sia riuscito ad aprire una crisi di governo con un consenso al 2% nei sondaggi è uno di quei portenti italiani per cui andiamo famosi nel mondo.

Se Giuseppe Conte fosse un animale, sarebbe… una volpe. O almeno così vorrebbe. Ha cercato di battere al suo gioco un feticista della manovra di palazzo come Renzi. Così l’altro giorno ha tirato fuori dal cilindro l’ipotesi di cercarsi una «sua» maggioranza, con l’apporto di una quindicina di «profughi» dell’opposizione: «avanti anche senza Renzi». I commentatori, a proposito di volpi, hanno rispolverato un precedente andreottiano. Ma qualcosa gli ha fatto cambiare idea in 24 ore. Forse una provvisoria carestia di «responsabili» o un sibillino post della Sfinge Grillo. Certamente l’incontro con Mattarella. Alla fine del quale la marcia indietro: «Avanti solo con il sostegno di tutta la maggioranza». La «volpe» finirà in pellicceria? Non è detto. Ma deve iniziare a trattare, come andava fatto da subito.

Se Zingaretti fosse un animale sarebbe… un riccio. Nel senso del celebre aforisma di Isaiah Berlin (e prima di lui di Archiloco). Perché le volpi della politica sanno molte cose, «ma il riccio ne sa una grande». Il leader del Pd ha fatto come al solito l’elastico: un po’ con Renzi all’inizio per ridimensionare Conte che faceva l’«one-man-band», un po’ con Conte quando Renzi ha minacciato e poi aperto la crisi, infine il colpo di freno sui «responsabili» di Palazzo Chigi. Lo si può accusare di mancanza di audacia, ma i ricci non sono audaci, sono testardi. La sua stella polare, dall’inizio, è tenere governo e legislatura in piedi fino all’elezione del capo dello Stato. E chissà che, se si facesse un nuovo governo, non riesca a spuntare anche qualche ministero di peso e la riforma elettorale dei suoi sogni.

Se Di Maio fosse un animale sarebbe un… falco pellegrino. Detto così per la colorazione scura delle penne del capo, si tratta dell’uccello più veloce al mondo. Anche l’ex e forse futuro leader dei Cinquestelle è veloce e rapace, il migliore del suo gruppo (non è difficile in verità). In questa crisi si è fatto vedere il meno possibile. Ha preferito sorvolare la scena dall’alto, scendendo in picchiata su questo o quel senatore, fingendo atti di solidarietà a Conte, ma lavorando attivamente contro il partito del premier. I Cinquestelle senza leader sono come il carico nella stiva di una nave quando non è legato: a ogni onda rischiano di farla sbandare. Di Maio vorrebbe assicurarlo a un’alleanza con il Pd, per superare lo scoglio delle amministrative di primavera e la prova dell’elezione del presidente. Poi si vedrà.
Se Salvini fosse un animale sarebbe… un lupo. Non solo perché oggettivamente incute paura a tutti, visto che se si va alle urne il centrodestra oggi è in grado di ottenere una solida maggioranza, e lui potrebbe guidarla (questo fa paura anche fuori dall’Italia). Ma il fatto è che, aggirandosi intorno al campo della maggioranza emettendo versi minacciosi, Salvini ricordava ogni mattina ai senatori incerti che dopo la caduta del governo potrebbe non esserci più nulla. E questo i parlamentari non vogliono sentirselo dire, visto che la prossima volta per un terzo di loro non ci sarà più posto. Così nella crisi l’opposizione ha contato poco. Anzi, la mancanza di vere aperture a ipotesi di governo «diverso» ha funzionato per chi vuol mantenere lo status quo. Singolare caso di eterogenesi dei fini.
Se il «senatore responsabile» fosse un animale sarebbe…un’araba fenice. Che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa. O meglio, si sa benissimo: di solito nidifica nel Gruppo Misto, meglio se eletto all’estero. Ogni legislatura ne produce del resto interi e variopinti stormi. Solo che sono difficili da stanare; compaiono quando le nebbie si diradano e giunge l’ora fatale delle decisioni irrevocabili e dell’incasso. Non è ancora quel momento. Il giorno del governo nascente è sempre meglio del giorno del governo morente, per alzarsi in volo. La battaglia di Palazzo Chigi ha fatto vivere a una decina di loro momenti esaltanti ma tormentati: passati nel giro di poche ore da futuri trombati a potenziali sottosegretari. Eppure, come l’uccello mitologico, risorgeranno dalle loro ceneri. Non mancherà occasione.